L’INFORMAZIONE INDIPENDENTE PER PROFESSIONISTI E APPASSIONATI DI ORTOFRUTTA
                      L'INFORMAZIONE PROFESSIONALE PER IL TRADE ORTOFRUTTICOLO
                      L’INFORMAZIONE INDIPENDENTE PER PROFESSIONISTI E APPASSIONATI DI ORTOFRUTTA

                      Addio olio di palma: ma è davvero un bene per l’industria? L’inchiesta di Wired

                      Dichiarato cancerogeno dall’EFSA, l’olio di palma da un anno a questa parte è stato bandito da molte aziende alimentari e della Gdo. Il motivo? “Per far felici i clienti, anche se le esigenze dell’industria sarebbero altre”: lo sottolinea Wired in un’inchiesta approfondita, che vi proponiamo. Da un lato ci sono colossi come Barilla, impegnata in prima linea nell’eliminazione del grasso vegetale sotto accusa. Lo sottolinea anche nei nuovi spot tv di Mulino Bianco. Dall’altro c’è Ferrero, che – al contrario – continua a utilizzarlo, con l’approvazione di Greenpeace. Olio di palma sì, olio di palma no? Il dibattito è ancora aperto

                       

                      Dalla Redazione

                       

                      Oil palm fruits and bowl of cooking oil on black background

                      L’olio di palma si trova – o meglio si trovava – in molti prodotti da forno confezionati. Finché non è stato dichiarato cancerogeno

                      Dolci, biscotti e prodotti da forno. Il nuovo payoff che accompagna questi articoli, da un ano a questa parte, è diventato “Senza olio di palma”. In Italia il numero delle aziende alimentari che hanno eliminato il grasso vegetale, imputato di essere cancerogeno e di essere causa di deforestazione e impoverimento nei Paesi del Sudest asiatico, è sta diventando sempre più importante. Coop è stata la prima catena della grande distribuzione a bandirlo dai propri prodotti a marchio (leggi qui), a ruota è seguito l’esempio di altri gruppi distributivi come Carrefour, Conad ed Esselunga, o di aziende leader come Barilla, ultima arrivata in ordine di tempo, ma destinata a sbilanciare verso il “senza” una buona percentuale della produzione di prodotti da forno in Italia.

                       

                      Wired in un articolo approfondito indaga i retroscena del caso olio di palma, sottolineando in primis che esiste un’associazione di categoria, la Aidepi (Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane), che l’anno scorso ha difeso pubblicamente il grasso vegetale dalle varie accuse , soprattutto considerando che nessuna correlazione tra assunzione di olio di palma e insorgenza di tumori è stata dimostrata nell’uomo.

                       

                      Tuttavia in dodici mesi, “le ragioni dell’industria, che nell’olio di palma aveva trovato un grasso poco costoso, meno di tutti gli altri, facile da lavorare e di fatto invisibile al palato, si sono sgretolate di fronte a quelle del marketing”, scrive Wired. I consumatori oggi chiedono “Niente olio di palma”. E nel nostro Paese oggi tra i marchi si sono costituiti così tre partiti: “gli originali, quelli che l’olio di palma non lo usavano prima e non lo usano neanche adesso, ma senza dirlo ad alta voce, per non dare l’idea di aver cambiato idea all’ultimo momento; i convertiti, che hanno modificato formulazioni per eliminare il risultato della spremitura del dattero; i controcorrente, che continuano a farne uso e giocano in attacco”.

                       

                      Tra i difensori dell’olio di palma, come abbiamo detto sopra, c’è in prima linea Aidepi, il cui presidente è Paolo Barilla, il numero due dell’azienda di famiglia. La curiosità vuole che Barilla, al contrario, sia una delle aziende che oggi sono più impegnate nella sostituzione dell’olio di palma con altri tipi di grassi vegetali. Lo comunica anche la nuova campagna televisiva della Mulino Bianco. L’azienda come riporta Wired, spiega il perché di questa scelta in una nota: “Per venire incontro alle richieste dei consumatori e per la nostra missione ‘Buono Per Te, Buono Per Il Pianeta’, che guida e ispira il nostro modo di fare impresa. La sostituzione dell’olio di palma è coerente con un percorso di miglioramento del profilo nutrizionale dei nostri prodotti partito da tempo”.

                       

                      Giuseppe Allocca, presidente dell’Unione italiana per l’olio di palma sostenibile, che rappresenta Ferrero, Univeler Italia, Nestlé Italiana Unigrà, non ha dubbi. “Si tratta di un’operazione di marketing. Legittima, ma non è altro che questo”. Tra quelli che hanno tolto l’olio di palma, “sicuramente c’è chi ha rielaborato le ricette per offrire ai consumatori prodotti con un minor apporto di grassi saturi e in questo caso nulla da dire – osserva il numero uno, avvocato – Tuttavia, permane il dubbio che, in molti casi, la riformulazione delle ricette non abbia dato vita a prodotti con apprezzabili vantaggi in termini di ingredienti o di riduzione di grassi saturi rispetto al mercato, come richiede la legge, o di contaminanti”.

                       

                      Ferrero, al contrario, continua a utilizzare olio di palma, ma percorrendo una politica di assoluta tracciabilità. Lo sottolinea anche Greenpeace, come riporta Wired: “L’azienda sta implementando step by step una politica di acquisti dell’olio di palma molto ambiziosa in termini di sostenibilità ambientale – precisa Martina Borghi, responsabile Foreste – Per questa ragione riteniamo che Ferrero sia una delle multinazionali più all’avanguardia rispetto alla sostenibilità dell’olio di palma”. A dicembre 2015 Ferrero ha raggiunto il 99.5% di tracciabilità alle piantagioni, grazie alla collaborazione dei suoi fornitori ed il supporto di The Forest Trust.

                       

                      Olio di palma sì, olio di palma no? Vi rimandiamo all’intero articolo di Wired per ulteriori approfondimenti.

                       

                      Copyright: Fruitbook Magazine