dalla Redazione
I consumi fuori-casa degli italiani sono tornati a crescere raggiungendo il livello precedente alla crisi: a dirlo è la Federazione Italiana Pubblici Esercizi (Fipe), che nel suo Rapporto Fipe di quest’anno – dal titolo “Intelligenza e umanità della ristorazione italiana” – evidenzia elementi di complessivo ottimismo per quanto riguarda l’andamento dei consumi alimentari fuori casa, che si attestano sul 36% dei consumi alimentari totali. Buone notizie anche sul fronte occupazionale – che vede una crescita del 3,3% sull’anno precedente -, mentre continuano a preoccupare le numerose aziende che chiudono e il basso tasso di produttività, che resta sotto i livelli pre-crisi.
“I numeri del Rapporto Ristorazione 2017 – commenta il presidente di Fipe, Lino Enrico Stoppani – confermano un trend di ripresa che porta i consumi nella ristorazione al livello pre-crisi”. Effettivamente, i dati diffusi dal Fipe raccontano uno scenario decisamente positivo per quanto riguarda la situazione del settore italiano, che con 41 miliardi di euro di valore aggiunto è il settore trainante della filiera agroalimentare italiana e (in valori assoluti) il terzo mercato della ristorazione in Europa dopo Regno Unito e Spagna.
Tra i dati del report, il primo elemento a colpire l’attenzione riguarda i consumatori italiani e la tendenza sempre più netta nelle loro abitudini di consumo: sono oltre 5 milioni gli italiani che ogni giorno decidono di iniziare la giornata con una colazione al bar, mentre sono 13 milioni quelli che pranzano abitualmente fuori casa. In linea con questo dato è l’entità della spesa “fuori casa” delle famiglie italiane, che nel solo 2017 ha superato gli 83 miliardi di euro, con una crescita del 3% sull’anno precedente.
A questo incremento corrisponde però una diminuzione della spesa alimentare domestica, che dal 2007 al 2016 ha registrato un calo del -10,5%, pari a una flessione di 15,9 miliardi di euro. Al contrario, il “fuori casa” vale ormai oltre il 35% (36% nel 2017) del totale dei consumi alimentari delle famiglie, con un trend di moderata ma costante crescita, che viene inoltre favorita dall’andamento dei prezzi dei servizi di ristorazione commerciale, che fanno registrare a dicembre 2017 una variazione dello 0,1% rispetto al mese precedente e dell’1,1% rispetto allo stesso mese di un anno fa. Nessun problema quindi sul versante dell’inflazione.
Positivi anche i dati occupazionali: “Anche sotto il profilo dell’occupazione – continua Stoppani – il nostro settore si conferma tra i pochi in grado di creare nuovi posti di lavoro. Restiamo la componente principale della filiera agroalimentare italiana nella creazione di valore e di occupazione”. Da questo punto di vista, i dati diffusi dal Fipe sono infatti incoraggianti: sono oltre un milione le unità di lavoro (+17% dall’inizio della crisi) attive nelle 329.787 imprese del settore in Italia. Di queste, il 15,4% del totale ha sede in Lombardia, seguita da Lazio (10,9%) e Campania (9,5%).
Nelle imprese del settore non mancano però alcune ombre: oltre alla produttività ancora bassa (perfino calata del 6% rispetto al 2009) è da segnalare lo scarso utilizzo di tecnologie infomatiche – solo il 40% dei ristoranti ricorre alla tecnologia per la gestione dei processi aziendali – e l’elevato numero di imprese che chiudono. Nel 2016 sono state 26.500 le imprese che hanno dovuto chiudere, a fronte di 15.714 nuove imprese (saldo negativo di oltre 10mila unità), mentre nei primi nove mesi del 2017 sono state 19.235 le chiusure a fronte di 10.835 aperture (saldo negativo pari a 8.400 unità).
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