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                      La moria dei kiwi a Verona: foto del fenomeno e prime ipotesi

                      La moria dei kiwi a Verona: foto del fenomeno e prime ipotesi (clicca per ingrandire)
                      Gianni Tacconi del CRA di Fuorenzuola d’Arda (Piacenza) ci ha fornito alcune foto che documentano la moria di piante di actinidia nel Veronese. Come riportato nella precedente notizia si parla di oltre 600 ettari interessati dal fenomeno. Sotto accusa il sistema di irrigazione a scorrimento, come indicato dal professore universitario Cristos Xiloyannis, esperto in materia

                      “Comunque la campagna commerciale è già in parte compromessa” dichiara Gianni Tacconi del CRA Centro di Ricerche per la Genomica e la Postgenomica Animale e Vegetale di Fiorenzuola d’Arda (Piacenza). “Quindi non è più un problema parlare della moria, fenomeno noto agli addetti ai lavori, così come della PSA. Molti commercianti tendono ad abbassare il prezzo in generale del kiwi veronese a causa della presenza di queste malattie, anche se è da sottolineare che: la Psa non intacca i frutti e le piante che hanno superato l’infezione danno frutti di qualità; la moria dalle piante non altera la qualità del raccolto poiché le piante colpite hanno frutti non commerciabili (sotto i 60grammi) e comunque la maggior parte si sono seccate; la qualità del kiwi di Verona è molto elevata in termini di pezzatura grazie a un’ottima impollinazione, cosa ad esempio che non è successa in Piemonte poiché con la Psa sono morti molti maschi e non è stata fatta l’impollinazione artificiale. Alla luce di ciò sarebbe utile dare allora un messaggio di positività, invitando inoltre i produttori a evitare pratiche scorrette come lo stacco anticipato”.

                      Sulla moria, che ha interessato nel Veronese – non ci sono sltri casi in Italia – oltre 600 ettari, si è spresso il professor Cristos Xiloyannis dell’Università degli Studi della Basilicata – Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo. Il professore, che ha visitato i campi colpiti nel Veronese lo scorso settembre e che aveva condotto delle prove sperimentali, sempre nel Veronese dal 1984 al 1989, ha indicato come causa più probabile della moria il sistema di irrigazione a scorrimento e la sua non corretta gestione. “La mia ultima visita – dichiara – non ha fatto altro che confermare i risultati delle nostre ricerche sugli effetti dell’irrigazione a scorrimento sulle caratteristiche fisiche del suolo e del conseguente ambiente ostile di coltivazione”.

                      “Tale metodo irriguo – prosegue – determina il deterioramento del suolo attraverso il compattamento e perdita della porosità. In particolare è ridotta la quantità di pori irregolari, che sono maggiormente coinvolti nel processo di movimento dell’acqua nel suolo e della composizione della parte gassosa nel suolo (carenza di O2 ed eccesso di CO2). Tale effetto è più evidente a partire da metà filare e si aggrava verso la fine del filare. È sorprendente notare che la moria delle piante segue lo stesso andamento, ossia un maggior numero di piante morte, o in grave sofferenza, proprio verso la fine del filare. L’acqua dalla canaletta percorre tutto il filare e trasporta con sé, oltre ai concimi, anche particelle di limo e argilla che vanno a depositarsi all’interno dei pori creando cosi un “tappo” che non permette il movimento dell’acqua negli strati profondi e limitando l’ossigeno indispensabile per la crescita e la funzionalità delle radici. Senza drenaggio, l’acqua ristagna prevale l’ambiente asfittico (con prevalenza di CO2 e carenza di ossigeno) che provoca la morte di una parte delle radici ed impedisce il turn-over radicale (infatti nelle piante danneggiate non ci sono radici giovani)”.

                      Il fenomeno – conclude il professore Xiloyannis – si è aggravato nel 2013, in particolare nel periodo estivo, in quanto l’elevata piovosità, verificatasi durante l’inverno e la primavera, ha ulteriormente danneggiato le radici. Le piante, nella primavera del 2013, sono partite con la vegetazione utilizzando le riserve accumulate nei vari tessuti (tronco, branche e radici strutturali) nel 2012. Con l’arrivo delle temperature elevate e con l’incremento della domanda evapotraspirativa dell’ambiente, il limitato e non efficiente apparato radicale non è stato in grado di soddisfare le esigenze idriche delle foglie con conseguente entrata in stress idrico delle piante e disseccamento fogliare. Ci sono stati quindi problemi dovuti sia all’asfissia radicale che al mancato rifornimento idrico alle foglie non per carenza di acqua nel suolo ma per il modificato rapporto radici/foglie (poche radici efficienti e molte foglie)”.