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                      Più succo nell’aranciata. Ma i produttori protestano

                      Il Parlamento approva in via definitiva la norma che innalza la percentuale minima di succo d’arancia dal 12% al 20% nelle bibite, ma solo se prodotte in Italia

                      Screen Shot 2014-10-28 at 6.46.47 PMAlla fine il partito trasversale “delle arance” ha vinto. E così il Parlamento, con il parere favorevole del Governo, ha approvato definitivamente una nuova norma che regola la produzione di alcune bibite rinfrescanti alla frutta, tra cui le aranciate.

                      Il provvedimento prevede che, le aranciate prodotte in Italia, contengano almeno il 20% di succo d’arancia contro il limite massimo del 12% valido in tutti gli altri paesi dell’Unione europea. Un ‘ribaltone’ – frutto anche di accordi politici interni al Pd e fra gli altri partiti – rispetto a quanto era stato stabilito fino a marzo scorso. Sette mesi fa, infatti, venne bocciato in Commissione Affari europei, dopo il parere negativo del governo, proprio l’emendamento presentato da deputati del Pd Nicodemo Oliverio e Michele Anzaldi in Commissione Affari costituzionali della Camera, che prevedeva appunto l’innalzamento della percentuale minima di vera frutta nelle bevate dal 12% al 20%.

                      L’obiettivo di questa virata, nell’ottica del legislatore, è favorire gli agricoltori e i produttori di agrumi. Ma per i produttori si tratta di un boomerang. Assobibe, l’associazione di Confindustria che rappresenta i fabbricanti di bevande analcoliche, commenta negativamente la decisione del Parlamento: “Il problema di fondo- spiega il presidente Aurelio Ceresoli – è che la nuova norma è applicabile alla sola produzione in Italia e non ai prodotti importati. La scelta di discriminare e penalizzare la produzione made in Italy rimane incomprensibile per tutte le aziende che producono, investono e creano occupazione in Italia. Un caso di autolesionismo anziché di tutela delle industrie nazionali e dei loro lavoratori”.

                      “Non è inoltre vero, né dimostrabile – conclude Ceresoli – che l’aumento al 20% si tradurrà automaticamente in un maggior impiego di forniture di succo solo italiano. Infatti più si indebolisce la quota di mercato di bibite made in Italy a favore di quelle prodotte all’estero, minori saranno le forniture di succo italiano. Oltretutto questo provvedimento incide su un settore – quello delle bibite rinfrescanti alla frutta – che pesa solo per il 10% su tutto il più ampio comparto dei succhi”.

                      Sulla stessa linea anche Federalimentare: “E’ dannoso – afferma il presidente Filippo Ferrua – introdurre vincoli e divieti circoscritti solo a chi produce in Italia. Così si favoriscono gli stranieri, si penalizza la competitività italiana, si mettono a rischio migliaia di posti di lavoro fra diretti e indotto”. Secondo Ferrua, “la norma, senza ragioni di tutela della salute o sicurezza alimentare, rischia di far sparire linee di produzione e di intaccare i livelli occupazionali. Fatto che, in un momento come questo, è davvero assurdo e in qualche modo perverso”.

                      Di parere opposto, invece, la Coldiretti che plaude all’approvazione della nuova norma. “E’ stata sconfitta la lobby delle aranciate senza arance che pretendeva di continuare a vendere acqua come fosse succo”, afferma il presidente Roberto Moncalvo nel sottolineare che si stima che “grazie alla nuova norma duecento milioni di chili di arance all’anno in più saranno bevuti dai 23 milioni di italiani che consumano bibite gassate”.

                      Una decisione che -secondo l’associazione degli agricoltori- concorre a migliorare concretamente la qualità dell’alimentazione e a ridurre le spese sanitarie dovute alle malattie connesse all’obesità in forte aumento. “Non va peraltro dimenticato – continua la Coldiretti – l’impatto economico sulle imprese agricole poichè l’aumento della percentuale di frutta nelle bibite potrebbe salvare oltre diecimila ettari di agrumeti italiani con una estensione equivalente a circa ventimila campi da calcio, situati soprattutto in regioni come la Sicilia e la Calabria. Ad oggi per ogni aranciata venduta sugli scaffali a 1,3 euro al litro agli agricoltori vengono riconosciuti solo 3 centesimi per le arance contenute, del tutto insufficienti a coprire i costi di produzione e di raccolta. Una situazione che – concludono gli agricoltori – alimenta una intollerabile catena dello sfruttamento che colpisce lavoratori, agricoltori ed i trasformatori attenti al rispetto delle regole”.

                      Fonte: repubblica.it