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                      USA: omicron e difficoltà logistiche svuotano gli scaffali dei supermercati

                      Fioccano le fotografie sui social di scaffali vuoti tra le corsie di alcuni supermercati statunitensi: sono passati quasi due anni dall’inizio della pandemia, eppure certe scene sembrano ripetersi: manca carta igienica, zuppe, prodotti per la pulizia e prodotti di uso quotidiano. Le cause, in questo caso, sono un bel mix di problemi vecchi e nuovi, che sommati tra loro provocano non solo disagi ai consumatori ma anche problemi complessi per le aziende, la distribuzione e la logistica

                      di Valentina Bonazza

                      usa

                      Scaffali vuoti in un supermercato di Wollongong (USA). Fotografia: Adam McLean – The North West Star

                      Ritornano sulle principali testate e media statunitensi le fotografie di scaffalature mezze vuote, prodotti mancanti o, addirittura, supermercati chiusi. Sono passati quasi due anni dallo scoppio della pandemia ma alcune scene sembrano ripetersi: scaffalature vuote tra le corsie di alcune tra le più grandi catene USA come Trader Joe’s, Giant Food e Publix. Perché? La causa è sempre la stessa o ci sono altri fattori in ballo? Cnn Business e Washington Post, solo per citare due esempi, individuano alcune macro cause capaci di provocare queste difficoltà di approvvigionamento e la conseguente mancanza di merci sugli scaffali.

                      Omicron: una variante più contagiosa è in grado di creare molti problemi, a prescindere dalla letalità che porta con sé. Contagiando di più, questa variante ha portato alla quarantena o all’assenza per malattia molti più dipendenti, lasciando molti supermercati con gravi carenze di personale. La catena di supermercati Stew Leonard’s (che ha negozi in Connecticut, New York e New Jersey) ha fatto sapere, ad esempio, che su 2.500 dipendenti ben 200 sono a casa per malattia o per quarantena.

                      A queste assenze per malattia si aggiungono gli effetti della “Great Resignation” ovvero quell’ondata di dimissioni volontarie che ha travolto gli States (ma anche l’Europa, Italia compresa) nell’estate del 2021. Solo nel mese di agosto oltre quattro milioni di persone, ovvero quasi il 3% della forza lavoro degli Usa, ha lasciato il proprio posto di lavoro. Se si somma anche luglio, il dato è di oltre 8,3 milioni. Cifre sconcertanti che non hanno risparmiato quasi nessun settore: dalla ristorazione ai servizi di consulenza, dalle aziende a conduzione famigliare alle grandi multinazionali, sempre più americani hanno deciso di cambiare lavoro, in molti casi senza un vero piano B ad attenderli, solo per seguire priorità differenti nate con il periodo di confinamento, come il  benessere fisico, la salute mentale e la flessibilità. Ne consegue che molti supermercati si trovano a lavorare con la metà dei dipendenti, come conferma un’analisi della National Grocer Association, e questo per forza di cose rallenta lo stoccaggio, l’esposizione dei prodotti a scaffale o la preparazione dei cibi nel punto vendita.

                      Maltempo e cambiamenti climatici. Allontanandoci dalla sfera di influenza del Covid, negli USA le tempeste di neve, le forti piogge e il maltempo hanno paralizzato alcune arterie stradali e causato difficoltà negli spostamenti e nel trasporto delle merci e delle persone. A questo si aggiunge il fatto che l’inverno influenza notevolmente la psicologia del consumatore. Come è noto, infatti, ci sono prodotti che solitamente vengono comprati quando è in arrivo il freddo o il maltempo, e se i consumatori vedono immagini di negozi con poche scorte è più probabile che decidano di acquistare più quantità dello stesso prodotto “per fare scorta” e sentirsi più sicuri. Anche le numerose scuole chiuse per maltempo hanno portato i genitori ad acquistare più prodotti alimentari ad alta frequenza come latte, ortofrutta, cereali per preparare i pranzi a casa, visto le mense scolastiche chiuse. All’abituale problema del maltempo invernale si sommano i cambiamenti climatici che minacciano il regolare approvvigionamento delle merci: incendi e siccità stanno danneggiando colture come il grano, il mais e la soia negli USA, quelle di caffè in Brasile. Di conseguenza alcune insegne hanno iniziato a razionare i prodotti. Coles ad esempio vieta l’acquisto di più di due confezioni di petti di pollo, salsicce, carne macinata e cosce di pollo, e non più di una confezione di test rapido per il Covid-19.

                      Riduzione dei pasti fuori casa. È un dato di fatto che la pandemia abbia influenzato notevolmente le nostre abitudini alimentari. Ultimamente sono sempre più numerosi gli americani che mangiano a casa per una combinazione di fattori, a partire dalla diffusione di omicron che spinge sempre più persone a prepararsi i pasti a casa e di conseguenza i negozi di alimentari sono “presi d’assalto”. A dicembre, ad esempio, le vendite di generi alimentari al dettaglio sono cresciute dell’8% secondo Mastercard SpendingPulse e alcuni punti vendita stanno cercando di rifare il magazzino dopo le alte vendite di fine anno.

                      Rallentamenti della catena di approvvigionamento. I problemi nella catena di approvvigionamento non riguardano solo i container bloccati nei porti in attesa di essere scaricati, ma anche il generale rallentamento della produzione di beni che gli Stati Uniti importano. In alcune zone della Cina e della Gran Bretagna, ad esempio, le misure di contenimento del virus hanno portato a chiudere alcune fabbriche rallentando di fatto la consegna di alcuni prodotti, alimentari compresi. Ne è un esempio il porto di Los Angeles, il più trafficato della California, che a novembre ha visto una brusca diminuzione dei volumi movimentati rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. A questo si aggiunge l’intera logistica, che deve fare i conti con una carenza ormai cronica di camionisti e altro personale, e che in questo periodo è andata ancor più in sofferenza a causa della pandemia.

                      Inflazione. La versa sfida economica del 2022 è l’inflazione dovuta alla forte domanda dei consumatori, associata ai continui problemi di approvvigionamento e al perpetuarsi della pandemia, che minacciano un considerevole aumento dei prezzi (ne abbiamo parlato qui). A dicembre, ad esempio, l’inflazione negli USA ha raggiunto il +7% su base annua, di fatto il peggior dato in termini di inflazione dal 1982. Anche per questo, sono sempre più gli americani che decidono di prepararsi a casa i pasti invece di spendere in ristoranti e bar: di conseguenza, gli acquisti in GDO sono sempre più frequenti e di maggior intensità.

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