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                      Bye bye nicchia, iI bio alla prova della crescita

                      Anche in Italia il biologico è decollato. Cresce a doppia cifra in un mercato che invece flette e ormai si trova con facilità anche presso la grande distribuzione non specializzata. Se il trend proseguirà con questo passo anche il problema della rotazione potrebbe diventare presto un ricordo, dando un nuovo slancio alla crescita. Abbiamo chiesto a Tommasino Fusato, direttore commerciale e socio fondatore di Brio, di farci un quadro della situazione, vero e senza giri di parole

                       

                      di Eugenio Felice (da Fm, edizione di aprile 2016)

                       

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                      Brio Spa è specializzata nella commercializzazione di prodotti biologici

                      Vola il mercato del biologico in Europa. Anche in Italia, che a livello di consumo rappresenta il quarto mercato dietro a Germania, Francia e Regno Unito. Le stime parlano nel 2015 di una crescita tra il 15 e il 20 per cento a seconda del canale di vendita e della categoria. A dispetto della crisi, che invece si è fatta e si fa sentire pesantemente sui prodotti convenzionali. Il rapporto annuale Bio in cifre 2015 pubblicato dal Sinab stima un valore del mercato biologico al consumo pari a poco più di 2 miliardi di euro contro i quasi 8 miliardi della Germania e i quasi 5 della Francia. Siamo indietro quindi rispetto ai Paesi più sensibili al bio ma in forte crescita. Abbiamo intervistato Tommasino Fusato, direttore commerciale e socio fondatore di Brio Spa, una delle pochissime aziende specializzate nella commercializzazione di prodotti  biologici, con un fatturato consolidato di 62 milioni di euro (rif. 2015).

                       

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                      A volte ci capita di vedere sugli scaffali frutti o ortaggi “stanchi”. La shelf life del biologico è più bassa rispetto al prodotto convenzionale?

                      Il problema forse maggiore che ha oggi il biologico è la bassa rotazione. Rispetto ai prodotti convenzionali stanno di più sugli scaffali e questo può scoraggiarne l’acquisto. Aumentando i volumi di vendita questo ostacolo potrà essere tranquillamente superato, è solo questione di tempo. Quando l’Italia arriverà alla soglia del 5 per cento il problema della rotazione non ci sarà più. Vorrei anche sfatare il mito della bassa conservazione: i prodotti biologici sono generalmente meno spinti e hanno meno acqua rispetto a quelli convenzionali, potremmo dire che sono più rustici, quindi in diverse referenze la shelf life è addirittura superiore. L’unica eccezione può essere la frutta estiva, dove nel convenzionale si fanno trattamenti antimuffa importanti e talvolta davvero  eccessivi.

                       

                      Quali sono in generale le problematiche dell’Italia e su cosa si dovrebbe lavorare per far crescere i consumi di biologico?

                      Un problema è che si fa ancora fatica a vendere nella GDO il biologico sfuso mentre all’estero si fa da tempo. Non è un problema di normativa ma di procedure: nel punto vendita ci vogliono quegli accorgi-menti per separare in modo chiaro, agli occhi dell’acquirente, il prodotto biologico da quello convenziona-le. Finora si è scelta la via più semplice, il confezionamento, che però incide sui prezzi di vendita e aumenta il gap con il convenzionale, rendendolo  meno accessibile al grande pubblico. Le cose oggi stanno cambiando e ci sono già alcune catene distributive che stanno facendo dei test con isole a tema e i primi risultati sono decisamente incoraggianti.

                       

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                      “Cosa rispondo agli scettici? I valori del bio sono entrati nel sentire comune. È meglio usare pesticidi chimici o sistemi naturali che non inquinano l’ambiente? È meglio un’agricoltura che tutela il territorio e la biodiversità o un’agricoltura industriale? C’è bisogno di rispondere?”…

                       

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