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                      La prima pagina del volantino Eurospin di inizio ottobre 2018

                      Nel mese di luglio ha fatto discutere la pubblicazione dei prezzi strappati da Eurospin per passate e pelati di pomodoro, attraverso il meccanismo dell’asta elettronica al doppio ribasso (leggi l’articolo). Per diversi osservatori, dalle aste “inverse” al caporalato o situazioni di sfruttamento il passo è breve. Inoltre alcuni gruppi distributivi le ritengono una forma di concorrenza sleale. Nel 2017 Federdistribuzione, Conad e Coop (ma non Eurospin) hanno firmato un codice etico promosso dal Mipaaf contro la pratica delle aste al doppio ribasso. Eurospin si difende sostenendo di fare l’interesse del consumatore. Ma in ortofrutta cosa succede? Dal 2016 le aste elettroniche al doppio ribasso vengono fatte per le banane, con prezzi, a detta degli stessi operatori, incapaci di remunerare tutti gli anelli della filiera. E, secondo voi, chi è che ci rimette?

                       

                      di Eugenio Felice

                       

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                      La prima pagina del volantino Eurospin di inizio ottobre

                      Quando a metà settembre siamo andati in visita a un punto vendita Eurospin della provincia di Verona, le banane sfuse erano vendute a 1,39 euro al chilo, origine Ecuador, certificate Rainforest Alliance. Un prezzo in linea e in alcuni casi più alto rispetto ai punti vendita delle altre insegne. Banane peraltro di ottimo aspetto. Il capitolato prevede varietà Cavendish e origine Centro America (Costa Rica, Colombia o Ecuador). In questo caso la certificazione ambientale era un qualcosa in più. Le aste elettroniche al doppio ribasso per questo frutto vengono fatte dal 2016 e fissano un prezzo per sei o dodici mesi. La banana, del resto, si presta come nessun’altro frutto a una contrattazione del genere: il mercato mondiale è dominato da una sola varietà: la Cavendish. L’asta elettronica al doppio ribasso funziona molto bene per Eurospin, perché nei fatti riesce a strappare quello che molto probabilmente è il prezzo medio sui dodici mesi più basso nel panorama distributivo italiano.

                       

                      La difesa. A pochi giorni dalla deflagrazione del caso, Eurospin ha diffuso una nota in cui diceva: “Certamente le aste online rappresentano uno strumento moderno, molto efficace per dare al consumatore quei prezzi competitivi che chiede, insieme alla qualità: e il nostro mestiere di distributori, da sempre, è quello di soddisfare queste richieste. (…) In un mercato veloce, competitivo e fluido, che pianifica poco (al massimo a tre-cinque anni, e noi lo facciamo), le aste online possono anche mettere in difficoltà alcuni operatori, produttori o agricoltori, ma noi dobbiamo fare l’interesse del consumatore. Per questo usiamo questo approccio soprattutto per quei prodotti commodity che non hanno caratteri di innovazione e di distintività. (…) Le aste insomma funzionano per i prodotti base. (…) Facciamo il nostro mestiere in un mondo che ci obbliga a correre veloci ed è sempre più competitivo. E poi il mercato a volte è cattivo e tutti si devono adeguare e trovare strade nuove, un fatto certo non semplice”.

                       

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                      Grafico sui profitti del biennio 2015-16 dei maggiori gruppi distributivi (Fonte: Mediobanca / Mbres)

                      La posizione di Eurospin, che oggi fattura oltre 5 miliardi di euro in Italia con circa 1.100 punti vendita, ci lascia più di qualche perplessità. Perché a parte i brevi periodi di promozione “spinta” in cui le banane vengono vendute a 79 centesimi al chilo (foto sopra), nel resto dell’anno i prezzi sono in linea se non superiori rispetto agli altri gruppi distributivi. Quindi la giustificazione data alle aste online al doppio ribasso – garantire al consumatore prezzi competitivi – non ci sembra rispondere a verità. Piuttosto tale pratica ci pare faccia bene in particolare al conto economico di Eurospin, che infatti è uno dei gruppi distributivi più profittevoli, addirittura il secondo a livello mondiale dietro a Target e davanti a Walmart se consideriamo l’indice ROI (return on investiment) – che è al 20,7 per cento – e il quarto al mondo se prendiamo a riferimento l’ebit margin (rapporto tra margine operativo e fatturato) – che è al 5,6 per cento – dietro a Seven & i, Target ed Esselunga (Fonte: Area Studi Mediobanca, periodo di riferimento 2016).

                       

                      Ma oltre l’aspetto economico, c’è quello etico. Perché l’asta elettronica al doppio ribasso innesca un meccanismo perverso che esalta le asimmetrie e porta, con la promessa di volumi da capogiro, a un prezzo che, almeno nel caso delle banane, non riesce a remunerare adeguatamente, a detta degli stessi operatori che abbiamo consultato, tutti gli anelli della filiera. Con questi prezzi, in altre parole, qualcuno ci perde e sappiamo che l’anello debole è solitamente quello a monte della filiera. Come può una banana che viene dall’altra parte del mondo costare a Eurospin meno di una mela raccolta in Val di Non? Oltre al costo di produzione affinché la banana cresca sana e bella sull’albero, c’è la raccolta, il confezionamento nei cartoni da 18 chili, la spedizione via nave, i dazi per alcune origini, lo sdoganamento, il trasporto ai centri di maturazione (sì, perché le banane arrivano verdi), il trasporto fino alle piattaforme della grande distribuzione. Tutti passaggi costosi in cui sono coinvolti molteplici attori.

                       

                       

                      La banana peraltro è da mezzo secolo, in Europa più ancora che in Italia, il frutto su cui più si concentra l’attenzione dell’opinione pubblica in merito ai temi dello sfruttamento dell’ecosistema e dei lavoratori nelle zone di produzione (qui sopra uno dei tanti video presenti in rete). Un’attenzione che ha portato alla nascita e all’affermazione del commercio equo e solidale, con alcuni gruppi distributivi che vendono unicamente banane certificate Fairtrade, come l’inglese Sainsbury’s. Per capire quale possa essere un prezzo giusto, almeno per la produzione, l’organizzazione Fairtrade fissa dei prezzi minimi che si possono consultare a questo link: per le banane Ecuador convenzionali il prezzo FOB (free on board, quindi con merce consegnata al porto di partenza) valido dal primo gennaio 2018 è di 9,10 dollari americani a cartone, equivalenti al cambio odierno a 0,43 euro al chilo, escluso il fair trade premium (investimenti sociali) che va sommato a questa cifra per le banane certificate Fairtrade.

                       

                      Quindi per remunerare senza sfruttamento i produttori, il prezzo giusto – lo ripetiamo, al di fuori del circuito Fairtrade – per una banana convenzionale di origine Ecuador è attorno ai 0,43 euro al chilo. A questo bisogna sommare i costi relativi al trasporto via nave, ai dazi, alla maturazione, alla distribuzione (considerando anche che in alcuni casi le banane arrivano ai porti olandesi). Fatte queste considerazioni, come può la forbice di prezzo ottenuta da Eurospin con le aste elettroniche al doppio ribasso – che conosciamo ma non divulghiamo per non mettere in difficoltà una filiera già troppo stressata – remunerare in modo “giusto” tutti gli anelli della filiera? Eurospin fa dei controlli a monte per accertarsi che non si verifichino situazioni di sfruttamento o distorsione? Può essere il prezzo l’unico fattore rilevante per un gruppo distributivo nella contrattazione di una commodity, in un periodo in cui sempre di più si parla di responsabilità sociale, economia circolare, crescita sostenibile e capitalismo migliore.

                       

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