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                      Il sostegno pubblico complessivo al settore agroalimentare tra il 2000 e il 2019 è sceso di circa 4 miliardi di euro e le regioni a riceve più sostegni pubblici sono quelle del nord: questi sono solo alcuni dei falsi miti che lo studio del “Venti anni di sostegno pubblico al settore agricolo” mette in luce. Suddiviso per le diverse componenti, comprese le agevolazioni fiscali e previdenziali, le spese delle singole regioni e le spese UE, il nuovo report del Crea è l’analisi più completa sulla spesa in agricoltura in Italia nel periodo 2000-2019

                      Dalla Redazione

                      agricoltura crea

                      Il Crea pubblica il rapporto più completo sulla spesa in agricoltura nel periodo 2000-2019 dal titolo Venti anni di sostegno pubblico al settore agricolo. Curato da Lucia Briamonte, primo ricercatore Crea-politiche e bioeconomia, e Stefano Vaccari, direttore generale del Crea, lo studio analizza il sostegno pubblico destinato al settore agricolo nei primi 20 anni del nuovo millennio, suddiviso per le diverse componenti, comprese le agevolazioni fiscali e previdenziali, le spese delle singole regioni e le spese UE. Lo studio è stato realizzato utilizzando la banca dati Crea della spesa pubblica in agricoltura, la più vasta e completa esistente in Italia, anche considerando quelle del Mef e della Corte dei Conti.

                      Il sostegno pubblico complessivo al settore agroalimentare nel ventennio considerato è sceso di circa 4 miliardi di euro, passando dai 15 miliardi e 613 milioni del 2000 a meno di 12 miliardi di euro (11.293) del 2019. Anche il VAa, il peso del sostegno pubblico al settore sul valore aggiunto agricolo, è diminuito, portandosi dal 55% del 2000 a circa il 34% del 2019 con peso differente nelle diverse regioni. Come sottolinea anche il direttore del Crea Stefano Vaccari al Sole 24 Ore: “Il valore aggiunto per ettaro è un indice di produttività e l’agricoltura italiana vanta i migliori risultati in Europa (meglio ancora di Francia e Germania) ma anche il maggior valore aggiunto in assoluto. La minore incidenza dei sostegni pubblici sul valore aggiunto agricolo è sintomo della crescita dell’agricoltura made in Italy che è sempre più in grado di reggersi sulla forza delle proprie imprese. Sull’andamento generale – puntualizza Stefano Vaccari – incidono il maggiore peso assunto negli anni da un settore come il vino, che riceve pochi aiuti ma produce un elevato valore aggiunto, al contrario di un settore come i cereali invece che è molto assistito ma un impatto limitato sul valore aggiunto”.

                      Se si considerano le singole categorie di sostegno si nota come la riduzione è dovuta sia al quasi dimezzamento delle agevolazioni fiscali, contributive e previdenziali dal 27% al 16%, sia alla importante riduzione del sostegno operato dalle regioni e province autonome attraverso i propri bilanci. La spesa delle regioni, infatti, è passata dagli oltre 4 miliardi di euro del 2000 agli 1,8 miliardi di euro del 2019, questo a fronte di un miglioramento della capacità di spesa (rapporto tra i pagamenti e stanziamenti totali) che è passata dal 37,7% al 51,6%.

                      Dal 2000 al 2019 si registra anche la riduzione dei trasferimenti ministeriali (dal 4,3% al 3,9%), mentre i dati rilevano come il sostegno comunitario sia abbastanza stabile nel primo decennio e subisce un incremento nel decennio successivo. In particolare, il peso percentuale dei trasferimenti pubblici al settore derivanti da risorse UE (Agea e Organismi pagatori – OO.PP.), sul sostegno complessivo è cresciuto dal 43% nel 2000 al 64% del 2019.

                      Dall’analisi sulla distribuzione territoriale del sostegno pubblico relativamente alle singole componenti (fondi UE PAC 1° Pilastro, Fondi UE 2° Pilastro, agevolazioni, trasferimenti statali e fondi regionali) emerge come quello proveniente da politiche comunitarie sia quello prevalente e rimanga pressoché costante per l’intero periodo considerato mentre il sostegno derivante da politiche nazionali e regionali si riduca. Nel dettaglio, tra il 2000 e il 2019, la spesa maggiore (oltre il 50% dei contributi pubblici totali all’agricoltura), ha riguardato l’attuazione della Pac e a seguire la spesa delle regioni (20,6%), le agevolazioni fiscali (16,8%) e quelle contributive (6,9%) ed infine gli interventi statali effettuati dai ministeri. A questo proposito va sottolineato che il Crea ha preso in esame non solo i trasferimenti disposti dal ministero delle Politiche agricole ma anche di quelli stanziati a favore dell’agricoltura da altri ministeri dallo Sviluppo economico al ministero dell’Economia e delle Finanze (e che comunque si sono complessivamente ridotti passando dal 4,3 al 3,9% del totale dei contributi al settore).

                      Il sostegno pubblico a prescindere dalle fonti di provenienza è più marcato al nord rispetto alle altre circoscrizioni perché si tratta di regioni nelle quali c’è un’agricoltura intensiva spesso privilegiata sul piano dei contributi. Infatti, se si guardano i dati regione per regione, si nota in testa la Lombardia, capace di intercettare l’11,7% dei sostegni totali, a seguire Emilia Romagna con il 10,8% e il Veneto con il 10%. Il Piemonte si colloca al quarto posto con l’8,5%. Solo al quinto posto troviamo una regione del sud dove si collocano con il 7,9% pari merito Puglia e Sicilia, seguite dalla Calabria (7,2%) poi dalla Toscana, con una quota del 5,3%.

                      “Molto interessanti – aggiunge Vaccari – sono anche le indicazioni che emergono in tema di agevolazioni soprattutto fiscali considerato che all’orizzonte si profila una riforma del fisco in Italia. Ebbene dai dati emerge che i benefici fiscali in agricoltura sono legati soprattutto al gasolio agricolo e all’Irpef. Il solo gasolio agricolo – sotto attacco in un’ottica Green Deal – pesa per il 30% delle agevolazioni fiscali e vale da solo più di tutte le agevolazioni previdenziali al settore (27%). L’Irpef vale invece il 24% del totale, l’Iva il 10% mentre la tanto contestata Irap incide per appena il 7%. Una riforma del fisco anche in agricoltura dovrebbe partire da questa fotografia”.

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