di Maddalena De Franchis
La Puglia ha sete: dal Tavoliere fino al capo di Leuca i campi sono arsi e le colture di stagione, reduci dal mancato inverno, ora soffrono il caldo di queste giornate, contrassegnate da temperature più simili alla metà di giugno che alla metà di aprile. A risentire del periodo siccitoso più lungo degli ultimi anni – e dell’inverno più caldo da quando esistono i metodi di rilevazione delle temperature, con un’anomalia di +2,19° rispetto alla media storica – sono, in particolare, le colture cerealicole. I danni sono già evidenti nelle province di Foggia e della Bat, nell’area metropolitana di Bari, nei territori del Brindisino, in provincia di Taranto e in tutto il Salento. Lo fa sapere, in una nota, Cia – Agricoltori italiani di Puglia, che spiega come l’assenza di piogge stia compromettendo la spigatura del grano duro, il cosiddetto “oro giallo di Puglia”, di cui la regione è il primo produttore italiano. “L’annata agricola è iniziata in salita, con costi spropositati per l’acquisto di semi e concimi”, dichiara Gennaro Sicolo, presidente regionale e vicepresidente nazionale dell’organizzazione, “i problemi sono aggravati da un inverno estremamente arido, che non ha favorito uno sviluppo uniforme delle coltivazioni e ha impedito il normale accestimento”. Anche il mese di marzo e, finora, quello di aprile sono stati pressoché asciutti.
Il problema non riguarda solo il grano duro, settore per il quale già nei giorni scorsi Cia Puglia aveva lanciato l’allarme, basato su stime di raccolto inferiori del 50% alle previsioni, ma anche le colture leguminose e foraggere. Queste ultime, ora nel periodo di piena fioritura, sono messe a rischio non solo dalla siccità, ma anche dalle possibili conseguenze di altri possibili eventi climatici estremi, come bombe d’acqua, grandine, improvvisi e rapidi fenomeni alluvionali che impedirebbero comunque al terreno di assorbire in modo equilibrato le quantità d’acqua necessarie.
“La scarsità di riserve idriche utilizzabili dall’agricoltura e le lacune di un sistema irriguo che sconta ritardi decennali rappresentano il rischio più grande per il presente e l’immediato futuro del comparto”, aggiunge Gennaro Sicolo. “Con situazioni differenti da territorio a territorio, questo problema accomuna drammaticamente tutta la Puglia. Recentemente ci sono stati dei passi in avanti, compiuti grazie al lavoro dell’assessore regionale all’Agricoltura Donato Pentassuglia, ma tutto il ‘sistema-Puglia’ dev’essere messo nelle condizioni di funzionare, a cominciare dal sistema consortile regionale nel suo complesso. Che la Puglia sia una regione ad alto rischio di desertificazione del territorio si dice da molti anni, eppure, su questo problema epocale, non sembra ci sia ancora quella consapevolezza necessaria a prendere provvedimenti non emergenziali, ma strutturali. Occorre un preciso programma pluriennale di interventi di potenziamento delle infrastrutture per il riuso delle acque reflue, oltre alla possibilità di sfruttare i dissalatori, come si fa in tante altre parti del mondo. È necessario, infine, operare in modo sistematico con le bonifiche e la manutenzione dei canali”.
Se in Puglia aleggia la preoccupazione, in un’altra regione del Sud, la Sicilia, il livello di allarme è conclamato: sono già quasi un milione, infatti, i siciliani costretti a fare i conti con un piano di razionamento che prevederà la riduzione forzata di forniture d’acqua potabile da parte di Siciliacque, la società che gestisce le reti idriche dell’isola, in 93 comuni nelle province di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Messina, Palermo e Trapani, dove già nelle scorse settimane era stata razionata l’acqua potabile. Sono previste riduzioni della portata d’acqua fra il 10% e il 45%, con punte localmente maggiori in 15 centri del nisseno e dell’agrigentino, come riporta Ilmeteo.net. Secondo i dati diffusi dalla Regione, a fine 2023 la Sicilia ha archiviato il quarto anno consecutivo di siccità, con precipitazioni ben al di sotto della media storica di lungo periodo. E i primi mesi di quest’anno non fanno che confermare questa tendenza. La carenza di piogge rende difficile ricaricare gli invasi naturali e artificiali, così come le falde sotterranee: a marzo 2024 in alcuni invasi dell’isola per uso potabile mancava oltre il 90% dell’acqua e non va certo meglio per i bacini a uso irriguo.
Adottare delle soluzioni per far fronte alla scarsità d’acqua diventa ancor più urgente alla luce delle prime anticipazioni, già rese note dagli esperti di meteo e clima, sul trimestre estivo atteso nella nostra penisola. Sulla base dei dati relativi alle proiezioni stagionali, nonché all’andamento delle precipitazioni e delle temperature, si ritiene possibile, in Italia, un aumento delle temperature fino a +2 gradi rispetto alla media climatica (media che si calcola sugli ultimi 30 anni) nei mesi compresi tra giugno e agosto. Ciò si tradurrebbe in ondate di calore ancor più intense e durature di quelle cui abbiamo assistito negli ultimi anni, dovute alla presenza sempre più costante, sul bacino del Mediterraneo, dell’anticiclone africano.
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