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                      Carciofi, cambiamento climatico e importazioni selvagge fanno crollare i prezzi

                      Annata difficile per gli ortaggi invernali come carciofi, finocchi e broccoli, autentiche eccellenze pugliesi minacciate sia dal cambiamento climatico, sia dalla concorrenza spregiudicata di prodotti stranieri (soprattutto egiziani e tunisini), largamente presenti sul mercato. Mentre le associazioni di categoria invocano l’intervento dell’Ue, imprese come la foggiana Cericola Srl si impegnano per garantire ancora più qualità a un prezzo equo. Ma cresce la preoccupazione per l’impatto del cambiamento climatico sulle campagne future

                      di Maddalena De Franchis

                      carciofi Cifarelli Cericola

                      Vito Cifarelli, responsabile marketing e vendite di Cericola Srl

                      A lanciare l’allarme, circa un mese fa, era stata Coldiretti Puglia, che aveva riferito di produttori costretti a interrare gli ortaggi invernali come finocchi e broccoli o, in alternativa, regalarli ai cittadini disposti a raccoglierli autonomamente nei campi. Il calo drammatico dei prezzi di vendita di alcuni prodotti rende i ricavi insufficienti a remunerare i costi sostenuti dagli agricoltori, al punto che non conviene più neppure procedere con la raccolta. Ma come si è arrivati a questa situazione paradossale e quali potrebbero essere le soluzioni? Lo abbiamo chiesto a Vito Cifarelli, responsabile marketing e vendite di Cericola Srl, importante gruppo foggiano specializzato nella coltivazione e commercializzazione di svariati ortaggi invernali, fra cui, in particolare, carciofi, broccoli e cavolfiori. Nello specifico, per quel che riguarda il carciofo, Cericola ha ideato – assieme ad Apofruit Italia e La Mongolfiera – il progetto Violì, brand nato per valorizzare il carciofo italiano di qualità premium e la sua filiera produttiva.

                      Una stagione minata dal cambiamento climatico

                      “Per i carciofi (e per altri prodotti tipicamente invernali, come le brassicacee), l’andamento della stagione 2023/2024 si può dividere in due parti – esordisce Cifarelli -: una prima parte, fra novembre e gennaio, contrassegnata dall’assenza di precipitazioni e dal conseguente calo produttivo; una seconda parte, soprattutto il mese di marzo, caratterizzata da piogge abbondanti e temperature più rigide, responsabili di una notevole accelerazione del processo produttivo. Ciò ha stravolto i programmi di tutte le aziende agricole, anche delle più strutturate, che non hanno potuto far altro che invadere il mercato con un’enorme quantità di prodotto, a prezzi assai più bassi di quanto originariamente preventivato. Le avversità causate dal cambiamento climatico sono difficilmente prevedibili e generano risposte non prevedibili da parte delle piante: è un’altra delle novità cui noi produttori dovremo giocoforza abituarci, nel prossimo futuro”.

                      Prezzi stracciati: colpa anche della concorrenza straniera

                      Il pesante calo produttivo, di cui hanno risentito specialmente i carciofi nella prima parte della campagna, aveva già spalancato le porte ai concorrenti provenienti da Paesi extra-Ue (Egitto in primis), con quotazioni di gran lunga inferiori alla media del prodotto italiano. Alla sovrabbondanza di prodotto già disponibile sul mercato si è aggiunto, successivamente, il prodotto nostrano, favorito dal mix di piogge e temperature basse verificatosi a marzo. “Lo stesso problema – precisa Cifarelli – ha interessato broccoli e finocchi e, passando alla frutta, gli agrumi”.

                      Le possibili soluzioni

                      Secondo Cifarelli, la soluzione è una sola e si chiama “gestione del pricing”, ovvero una negoziazione costante dei prezzi attraverso il dialogo con le insegne della grande distribuzione. Occorrerà, naturalmente, una maggior flessibilità da entrambe le parti, in quanto si dovrà tener conto di un cambiamento climatico ritenuto ormai irreversibile. “Non è sempre corretto, per noi produttori, affermare che vendiamo il prodotto alle catene della Gdo a 60 centesimi e loro lo rivendono a 1,50 o 2 euro al consumatore finale – conclude Cifarelli -. È più corretto dire, invece, che riscontriamo, soprattutto nell’ultimo anno, un calo generalizzato dei consumi di ortofrutta: ciò deve spingerci a fare di più, a ricercare la qualità e offrirla a un prezzo equo. Il cliente finale deve continuare a essere il barometro del nostro operato, ancor più in tempi in cui dobbiamo far fronte a una concorrenza straniera sempre più spregiudicata e attenta alle esigenze del mercato”.

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