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                      Ce la farà l’oro rosso di Pachino a vincere la sfida?

                      La crisi di mercato è arrivata due mesi prima del solito, in aprile, nel periodo di massima produzione per il pomodoro di Pachino. L’inverno mite ha favorito un anticipo dei raccolti in diverse aree del Mediterraneo con conseguente eccesso di offerta. L’ennesima batosta per un comparto in sofferenza da diversi anni. Siamo andati nella terra in cui si produce quello che probabilmente è il miglior pomodoro del Continente per capire le ragioni della crisi

                       

                      di Eugenio Felice (da Fm, edizione luglio 2014)

                       

                      Massimo Pavan, vicepresidente del Consorzio di Tutela IGP Pomodoro di Pachino, con Salvatore Vernuccio, responsabile produzione dell’Azienda

                      Massimo Pavan, vicepresidente del Consorzio di Tutela IGP Pomodoro di Pachino, con Salvatore Vernuccio, responsabile produzione dell’Azienda Agr. del Sole (Copyright: Fm)

                       

                      Mentre sfogliamo la rivista di bordo di AirOne, sul volo AP867 che ci sta portando da Verona a Catania, non possiamo non notare, nel retro copertina, la pubblicità del pomodoro di Pachino IGP. L’immagine fa venire appetito, si vedono delle fette di pane condite con olio, basilico e il tipico ortaggio che viene dalle Ande ma che nel sudest della Sicilia ha trovato condizioni ideali di coltivazione. Sullo sfondo della pubblicità si vede il cestino con il sigillo di garanzia del Consorzio. “È un’immagine che ci permette di far vedere al consumatore finale come si presenta il prodotto sul punto vendita”, ci spiega Massimo Pavan, classe 1963, vicepresidente del Consorzio di Tutela, che abbiamo incontrato a metà giugno presso lo stabilimento di Ispica (Ragusa) della PEF, già Pevianifrutta, che fa capo appunto alle famiglie Pavan, originaria del Veneto, e Peviani, storico gruppo del settore.
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                      Attraversiamo la strada per vedere le serre con sistema di produzione verticale, quindi tradizionale, che producono annualmente in due cicli, nei mesi di maggio e giugno e in quelli di dicembre e gennaio. Una produzione più breve quindi ma più produttiva rispetto al sistema inclinato, che produce da novembre a luglio. “Di questi tempi – spiega Pavan – è difficile pianificare nuovi investimenti. La verità è che qui le aziende chiudono e si vedono sempre più spesso serre abbandonate”. Ma come? Pensiamo noi, mentre l’agronomo ci spiega che anche qui le serre sono particolarmente sofisticate, “ad esempio hanno il doppio telo di copertura, a diverse altezze, per tenere condizioni ottimali di temperatura, ventilazione e umidità”, ci riferisce. Qui si ottiene il miglior pomodoro ciliegino d’Italia, forse del mondo, e le serre vengono abbandonate quando va male, gli investimenti bloccati quando va bene? È il clima a dare una prima spiegazione: quest’anno il mercato si è bloccato due mesi prima del solito, quando le serre siciliane erano in piena produzione.
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                      Ci sediamo in ufficio, siamo rientrati allo stabilimento della PEF di Ispica, la linea di lavorazione delle carote novelle è ferma, la stagione è appena terminata, mentre sta lavorando la linea dedicata al pomodoro. “In realtà – ci dice Pavan – sono anni che il comparto del pomodoro da mensa siciliano è in contrazione per le continue crisi di mercato, dovute all’invasione di prodotto nordafricano”. Le parole del vicepresidente del Consorzio di Tutela IGP Pomodoro di Pachino sono confermate dai dati statistici. Ismea, in un documento da pochi mesi consegnato al comitato prodotto dell’Organismo Interprofessionale, ha evidenziato sì una spinta specializzazione produttiva finalizzata a un’elevata qualità organolettica del prodotto, ma anche un aumento dei costi di produzione, una pericolosa stagnazione dei consumi interni e un incremento della competizione con il prodotto estero, soprattutto di Spagna, Paesi Bassi e Marocco.
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