Dalla Redazione
Vertical farming altamente tecnologici per la coltivazione nello spazio di frutta e verdura. Questa una delle sfide che la NASA e altre agenzie spaziali inseguono da tempo, in quanto potrebbe essere una rivoluzione in grado di cambiare completamente l’approccio alle missioni spaziali: dalla durata del viaggio alla successiva permanenza nello spazio, oltre che alla vita e all’alimentazione degli astronauti, avvicinando così gli uomini a missioni a lungo raggio e alla progettazione di basi e insediamenti su altri corpi celesti. Affinché tutto ciò avvenga, però, è necessario produrre cibo nello spazio senza doverlo sempre portare “da casa” con grande dispendio di mezzi e denaro.
I primi passi verso la produzione di ortaggi nello spazio sono già stati mossi: basti pensare che nel 1982 i cosmonauti russi della navicella sovietica Salyut 7 hanno sviluppato per la prima volta un esemplare della pianta Arabidopsis, ad uso non alimentare. Oggi è invece il turno degli americani che, dopo essere riusciti nel 2015 a coltivare la lattuga romana rossa sulla ISS – Stazione Spaziale Internazionale – prevedono per novembre 2019 l’invio in orbita di piante di peperoncino di Española (Capsicum annuum), selezionato per alcune sue caratteristiche nutrizionali e fisiche. Si tratta di una varietà che, pur non crescendo molto in altezza, risulta essere produttiva e di facile impollinazione. A completare le caratteristiche di questa pianta ci sono il gusto deciso – particolare non secondario considerando lo scarso sapore degli alimenti per astronauti – e l’apporto di vitamina C, di grande aiuto per integrare le diete “spaziali”.
La produzione alimentare a lungo termine nello spazio implica così grandi sfide scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche. Growing Beyond Earth, partnership nata nel 2015 tra NASA e Fairchild, ha visto negli anni numerosi sviluppi e fasi del contest. Attraverso il Maker Contest, l’obiettivo di Fairchild Tropical Botanic Garden di Miami – organizzazione no-profit dedicata ad esplorare, spiegare e conservare il mondo delle piante tropicali – è proprio quello di sfruttare la creatività e il talento di una rete nazionale di makerspaces, e della sua comunità locale, per affrontare queste sfide legate alla coltivazione e all’alimentazione nello spazio.
I punti cardine della competizione prevedono l’utilizzo in modo efficiente dello spazio tridimensionale di coltivazione delle piante a bordo della navicella spaziale, rispondendo al quesito di come mantenere le piante in vita senza intervento umano e quindi come progettare un sistema robotico completamente automatizzato di semina e raccolta. Un passo in avanti notevole rispetto a quanto già oggi non si faccia. “Invitiamo i produttori di tutta l’America a collaborare con noi e a presentare i loro progetti per sistemi di coltivazioni da utilizzare a bordo delle navicelle spaziali – ha affermato durante la conferenza stampa Carl Lewis, direttore di Fairchild Tropical Botanic Garden – Il Maker Contest è un’opportunità unica per tutti di essere coinvolti al piano terra e aiutare ad affrontare le sfide della coltivazione del cibo nei viaggi spaziali su lunghe distanze”.
Growing Beyond Earth (GBE) – il concorso NASA per coltivare nello spazio, è rivolto a tre categorie: team di professionisti, universitari e studenti delle scuole superiori. Le candidature al concorso saranno valutate e giudicate da ingegneri e botanici della NASA, e le proposte vincenti saranno prese in considerazione per lo sviluppo delle future missioni NASA. L’invito è aperto ai “maker” americani, ovvero gli artigiani digitali che utilizzano l’elettronica per inventare e reinventare: alla base ci dovrà essere, quindi, una forte passione per la robotica e l’automazione, con competenze che spaziano dall’ingegneria bio-spaziale all’agricoltura. I partecipanti potranno spedire i loro progetti entro il 3 febbraio 2020. Un team di ingegneri e botanici della NASA sceglierà le 15 proposte più promettenti da portare in “finale”.
I vincitori di ogni categoria riceveranno un contributo economico per realizzare un prototipo del loro progetto e partecipare alla conferenza “2020 Nation of Makers“, ma non solo: un giorno infatti, i finalisti potranno essere chiamati a sviluppare tecnologie di vertical farming completamente robotizzate, contribuendo al futuro dell’esplorazione e della presenza umana nello spazio, ma anche alla qualità della vita sulla terra. In effetti, i prodotti nati per la ricerca spaziale trovano spesso uno sbocco naturale nell’industria, finendo per diventare prodotti di uso quotidiano: basti pensare ai tessuti ignifughi e ai termoregolatori, così come a molte apparecchiature mediche, scarpe da ginnastica e molto altro.
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