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                      Il residuo zero è greenwashing e concorrenza sleale al biologico?

                      “Residuo zero” significa che su un prodotto ortofrutticolo sono presenti tracce di residui di fitofarmaci al di sotto dei limiti ammessi dall’UE di 0,01 mg/kg. Non significa affatto che non sono stati utilizzati prodotti chimici di sintesi, pertanto tale prodotto non va assolutamente equiparato a una referenza biologica. A sollevare la questione è il Centro Tutela Consumatori Utenti (Ctcu) di Bolzano, che si unisce a un fronte di oppositori del residuo zero che vede questa etichettatura come una concorrenza sleale al biologico. E c’è anche chi parla di greenwashing…

                      Dalla Redazione

                      Residuo zero, ovvero privo di residui di fitofarmaci. O, ancor più precisamente, con tracce di residui di sostanze chimiche presenti a livelli infinitesimali, con valori che, secondo quanto ammesso dall’UE, risultano inferiori a 0,01 milligrammi per chilogrammo. Oggi è sempre più facile trovare al supermercato prodotti ortofrutticoli – pomodori, cetrioli, ma anche mirtilli, albicocche, mele, ananas, carote, patate etc. – che si fregiano del bollino che certifica una produzione a ridotto utilizzo di pesticidi, tanto ridotto da non lasciare praticamente traccia. Ma attenzione, questo non significa che questi prodotti non siano stati trattati con prodotti di sintesi: a sollevare la questione è il Centro Tutela Consumatori Utenti (Ctcu) di Bolzano, che sottolinea come l’etichetta Residuo Zero “prometta soltanto che la quantità di pesticidi sintetici utilizzati non sia superiore al valore di 0,01 milligrammi per chilogrammo di alimento. Tale valore rappresenta il limite analitico inferiore di determinazione per i residui di pesticidi, il che significa che, con i comuni metodi analitici, concentrazioni al di sotto di questo limite non sono più quantitativamente rilevabili”. Quindi, semplificando, si possono definire “zero”.

                      Ma le associazioni ambientaliste e di tutela dei consumatori non ci stanno a questa semplificazione, e insieme al gruppo dei Verdi/EFA di recente al Parlamento europeo hanno sollevato critiche alla dicitura “Zero Residui” e indicazioni simili. “Esse, infatti, non vieterebbero l’utilizzo di pesticidi chimici di sintesi – puntualizza il fronte degli oppositori -, i prodotti non sarebbero completamente privi di residui, bensì li conterrebbero in quantità ridotta (ossia per un massimo di 0,01 milligrammi per chilogrammo)”. “Inoltre il rispetto di questo valore massimo non verrebbe monitorato in modo costante”, aggiunge il Ctcu.

                      I prodotti etichettati come ‘senza residui’ non devono assolutamente essere equiparati ai prodotti biologici”, sottolinea Silke Raffeiner, nutrizionista presso il Centro Tutela Consumatori Utenti. “Diversamente da quanto avviene nella coltivazione di prodotti a residuo zero, nell’agricoltura biologica l’uso di antiparassitari di sintesi è di fatto vietato. Inoltre, l‘agricoltura biologica si basa su principi olistici come la gestione in cicli, la promozione della fertilità del suolo e della biodiversità, gli allevamenti rispettosi del benessere animale e gli organismi geneticamente non modificati”.

                      Anche Roberto Pinton, massimo esperto in materia di agricoltura biologica, è dello stesso parere riguardo al residuo zero. “Se la preoccupazione è solo la tua anima – chiosa ironicamente in un’intervista del Salvagente sul tema – allora è vero  il residuo zero ti garantisce che su quella frutta che stai comprando non ci sono tracce di residui oltre il limite stabilito per legge, ma se t’interessa l’ambiente e allora è tutto un altro discorso. Dire che non ci sono residui di pesticidi non vuol dire non averli usati”.

                      Secondo l’Ispra tre quarti di acque superficiali sono contaminante da fitofarmaci, di cui buona parte sono insetticidi. “Eliminando gli insetti, si crea uno squilibrio ambientale, che finiremo per pagare – aggiunge Pinton nel suo intervento sul Salvagente -. Da una parte l’inquinamento entra in contatto con il nostro organismo, e poi l’attacco all’equilibrio ecoambientale lo pagheranno sempre di più i nostri figli, i nostri nipoti, quando la terra non sarà più buona per coltivare. Dunque, scrivere ‘Zero residui’ su un prodotto va bene, a meno che non si associ la cosa con il tentativo di vendere lo stesso come verde, come sostenibile, perché non lo è affatto”.

                      Il residuo zero sarebbe dunque greenwashing? C’è qualcuno, nel settore ortofrutticolo biologico, che sta iniziando a sollevare l’interrogativo, vedendo in questa etichettatura una concorrenza sleale. “A disturbare il mercato del biologico, oggi, sono prodotti parzialmente sostenibili, ma non meglio definiti né regolamentati, dove l’impegno, seppur lodevole, in direzione della sostenibilità è soltanto parziale, come i prodotti a residuo zero”, scrive Ilenia Nordera, titolare e responsabile commerciale della società agricola scaligera Bio Trading, facendo una fotografia del comparto biologico e dei suoi trend calanti (leggi qui) .

                      “C’è un’enorme differenza tra non usare prodotti di sintesi e usarne facendo in modo che poi essi non siano rilevabili nel prodotto finale”, si legge anche sul blog della Pizzi Osvaldo & C., azienda milanese specializzata nella commercializzazione e confezionamento di ortofrutta biologica, che si accoda alla polemica contro il residuo zero. Tutto, in sostanza, dipenderebbe dal consumatore e dal suo tipo intenzioni. “Se intende solo preoccuparsi della sua salute i limiti di legge dicono che non corre rischi, ma il quadro a lungo termine e la salute del pianeta non coincidono con il punto di vista del singolo – scrive l’azienda -. Dovremmo ormai averlo imparato: è un po’ come dire che il riscaldamento globale non è un problema perché ci troviamo a 1000 metri di quota, la temperatura è mite e noi stiamo benone”.

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