di Carlotta Benini
Imballaggi, il complesso negoziato in corso da mesi a livello comunitario sulla proposta di regolamento che vorrebbe favorire il riuso a discapito del riciclo è entrato nella sua fase clou. Il 24 ottobre la Commissione Ambiente dell’Europarlamento ha approvato il rapporto sulla riduzione dei rifiuti da imballaggio (leggi qui), che tra le varie cose prevede il divieto di utilizzo di confezioni monouso per alimenti e bevande – quindi anche frutta e verdura – sotto un chilo, andando in sostanza contro quanto votato invece in commissione Agricoltura, quando era stata prevista la cancellazione di queste restrizioni. Il prossimo step decisivo sarà il 22 novembre, quando il Parlamento europeo sarà chiamato ad approvare la propria posizione finale, in sessione plenaria, sulla cosiddetta “PPWR” (Packaging and Packaging Waste Regulation) sulla base della relazione dell’onorevole belga Frédérique Ries approvata dalla commissione ENVI il mese scorso.
Inizialmente il peso previsto sotto il quale far scattare il divieto all’utilizzo di imballaggi monouso era 1,5 chili, ora si è passati a un chilo, ma poco cambia: la PPWR, se approvata nella sua attuale formulazione, “provocherebbe effetti pesantemente negativi sulle filiere produttive nazionali e sui consumatori, oltre che opporsi agli obiettivi di sostenibilità che dichiara di voler perseguire”. A dichiararlo in modo congiunto sono Coldiretti, Filiera Italia, Cia, Confapi, Ancc-Coop, Ancd-Conad, Legacoop, Legacoop Agroalimentare, Legacoop Produzione&Servizi, Ue. Coop, Fai-Cisl e Uila-Uil, in una lettera indirizzata alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ai ministri coinvolti direttamente, ai presidenti dei gruppi politici della Camera e Senato e ai capi delegazione del Parlamento. Nella lettera si sottolinea come, di fatto, la proposta di regolamento metta in discussione il riciclo, in cui l’Italia è leader, avendo il nostro Paese già superato da anni gli obiettivi fissati al 2030 del 70% di riciclo complessivo degli imballaggi. Inoltre la PPWR non tiene conto di soluzioni più sostenibili come le bioplastiche compostabili e totalmente biodegradabili, limitando l’innovazione negli imballaggi e non permettendo il ritorno degli ingenti investimenti fatti in bioraffinerie prime al mondo oggi in funzione, di cui – anche in questo caso – il nostro Paese è leader.
Un’analoga missiva è stata scritta e indirizzata i giorni scorsi agli stessi mittenti da Confidustria, Confcooperative, Casartigiani, Claai, Confagricoltura, Confartigianato, Confcommercio e Federdistribuzione, che congiuntamente puntualizzano che “un’impostazione simile rischia di colpire oltre il 30% del nostro PIL, recando gravi danni non solo a tutti i produttori di imballaggi, ai loro fornitori di materie prime e all’intera industria italiana del riciclo, ma anche e soprattutto penalizzando le imprese che utilizzano tali imballaggi per commercializzare ed esportare merci in Italia e all’estero, dalle cooperative agricole a tutte le filiere della ristorazione, della produzione, trasformazione e distribuzione agro-alimentare, dalla cosmetica alla farmaceutica, dai pubblici esercizi al turismo, dalla piccola, media e grande distribuzione organizzata, al vending e alla logistica, con il pericolo concreto di gravi danni per intere filiere strategiche della nostra economia”. “Sono a rischio decine di migliaia di imprese e centinaia di migliaia di posti di lavoro – denunciano le associazioni – nonché filiere e modelli produttivi e di consumo caratteristici del nostro made in Italy”.
Non è pensabile tra l’altro, si aggiunge, che le abitudini consolidate di milioni di consumatori possano essere stravolte con un semplice tratto di penna.
“Per il settore agroalimentare in particolare, la proposta impatta negativamente il confezionamento stesso dei prodotti, mettendo a rischio gli attuali standard di sicurezza e qualità alimentare, ma anche la shelf life dei prodotti stessi, con il conseguente rischio di aumento degli sprechi dovuto alla maggiore deperibilità degli alimenti venduti senza confezione – si legge nella lettera congiunta di Coldiretti, Filiera Italia, Cia, Confapi, Ancc-Coop, Ancd-Conad, Legacoop, Legacoop Agroalimentare, Legacoop Produzione&Servizi, Ue. Coop, Fai-Cisl e Uila-Uil -. Un esempio indicativo è rappresentato dal divieto, che tale proposta introduce, di confezionamento di frutta e verdura in quantità inferiori a 1,5 chili (in realtà nell’ultima versione passata in commissione ENVI, come detto, si parla di 1 kg, ndr), prescrizione che determinerebbe la definitiva scomparsa del settore della quarta gamma di cui l’Italia è leader mondiale”.
Se il regolamento sarà approvato saranno quindi messe al bando le insalate in busta o altre confezioni monouso come le vaschette di piccoli frutti? Una certa informazione sensazionalistica dice questo, ma le cose in realtà non stanno propriamente così. In effetti, nell’allegato V della normativa, quello che elenca le restrizioni all’uso di determinati formati di imballaggio, si legge che per gli imballaggi monouso di frutta e verdura fresche è previsto il divieto d’uso al di sotto di 1,5 chili (ora un chilo). Ma poi si specifica “a meno che non sia dimostrata la necessità di evitare perdite di acqua o turgore, rischi microbiologici o urti”. La proposta, quindi, prevede già la possibilità di continuare a utilizzare imballaggi monouso quando è necessario per proteggere un prodotto molto delicato come ad esempio i mirtilli, o se deperisce molto in fretta ed è esposto a rischi microbiologici, come l’insalata di quarta gamma che inoltre è considerata un “preparato” e non prodotto ortofrutticolo tout court. “Non sono a rischio queste confezioni”, ci spiega Simona Caselli, presidente di Areflh, l’Assemblea delle regioni frutticole, orticole e floricole europee, che fin dall’inizio si è spesa alacremente a tutela settore proponendo i suoi emendamenti al dossier imballaggi (qui il documento relativo) e tenendo contatti regolari con la Commissione europea (DG AGRI e DG ENVI) e il Parlamento europeo.
“Abbiamo lavorato pancia a terra, per un anno e mezzo, con un contatto costante ed insistente con i deputati – dice la presidente di Areflh -. Purtroppo in commissione ENVI, come prevedevamo, è andata male e l’emendamento sugli imballaggi per ortofrutta non è passato per un voto. Adesso dobbiamo lavorare perché in plenaria passi il testo della Commissione ITRE (qui la proposta presentata dall’eurodeputata Patrizia Toia), che invece ha ascoltato le istanze della filiera ortofrutticola. Ce la si può ancora fare, ma ci vuole pressione”.
“La nostra filiera è impegnata da anni nel riuso dell’imballaggio grazie le cassette a sponde abbattibili – continua -, che non solo vengono continuamente riutilizzate, ma che vengono anche rigenerate quando si rompono. Si tratta di esempio virtuoso, per cui è evidente che il settore non è certo arretrato e che non vuole assolutamente sottrarsi all’impegno nella riduzione degli imballaggi e dei rifiuti da imballaggi, che tante imprese già stanno applicando attivamente: quello che chiediamo è un approccio ragionevole ed equilibrato”.
La percezione, ad oggi, è che ci si trovi di fronte a un grande caos, dal punto di vista normativo e anche dell’informazione che circola in materia. “Il dibattito ha preso pieghe surreali – commenta Simona Caselli – e la bozza di regolamento, così come è scritta, lascia tanti punti interrogativi per quanto riguarda il packaging per l’ortofrutta”. “Ad esempio, nelle deroghe relative all’imballaggio monouso sotto un chilo, è ancora piuttosto vago cosa si intenda per ‘rischi microbiologici’ – dice – o per ‘perdita di acqua’. Tutti i prodotti ortofrutticoli ne sono soggetti, perfino le patate raggrinziscono dopo settimane: non si capisce dunque fino a che punto ci si voglia spingere. È previsto che i prodotti esentati dal divieto di imballaggio siano identificati da liste specifiche, ma non è chiaro chi debba farle, se la Commissione o addirittura gli Stati membri. Se ognuno facesse la propria lista ci sarebbe un’evidente frammentazione del mercato interno, ma chi fa export poi rischierebbe di impazzire. Non possiamo trovarci di fronte a regole impossibili da gestire”.
Un altro controsenso, secondo la presidente di Areflh, è l’esenzione concessa nell’ultimo testo della commissione ENVI ai prodotti Dop e Igp. “Con tutto l’amore per le Dop e le Igp, questa distinzione è davvero illogica se applicata all’imballaggio – chiosa -. Ai fini della conservazione e della tutela del prodotto, che, anche in base alla legge, deve arrivare al consumatore in condizioni di integrità e sicurezza, non riesco a capire tecnicamente come possa essere distinguibile una pera IGP da una pera normale”.
C’è poi il tema della sostenibilità ambientale, quella vera, misurabile, a trecentosessanta gradi. Nella lettera congiunta delle associazioni al Governo si puntualizza che, “secondo tutte le più recenti evidenze scientifiche, gli imballaggi riutilizzabili che la Commissione UE vorrebbe imporre sono più impattanti del packaging monouso, comportando un aumento del 180% di emissioni di CO2 e di circa il 240% in più di consumo d’acqua”. “L’imballaggio è anche protezione, conservazione e comunicazione al consumatore – conclude Simona Caselli -. Lo spreco alimentare è una voce da considerare, quando si parla di sostenibilità, perché ha un impatto enorme. Per tutti questi motivi, in definitiva, il divieto paventato per l’ortofrutta dalla PPWR risulta davvero inspiegabile”.
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