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                      Indagine su sfruttamento braccianti indiani a Latina. Zespri: “Inaccettabile”

                      Kiwi-Latina-raccoglitore-Zespri-Irpi-Media

                      Un raccoglitore di kiwi a Latina. Foto: Stefania Prandi / Irpi Media

                      Irpi Media ha realizzato un’indagine approfondita nel corso di diversi mesi sullo sfruttamento dei braccianti indiani utilizzati nei campi per la raccolta di kiwi. Siamo a Latina, prima provincia italiana per la produzione del frutto originario della Nuova Zelanda. Una parte rilevante di questi kiwi fa parte del circuito Zespri, brand leader mondiale per questo specifico frutto. Secondo l’indagine i diritti dei lavoratori sarebbero poco tutelati, con paghe tra 5 e 6 euro l’ora e condizioni di lavoro da terzo mondo. Eppure i produttori di kiwi Zespri devono essere certificati GlobalGAP GRASP,  un modulo del noto standard internazionale volto proprio a garantire i diritti dei lavoratori (pratiche sociali). Qualcosa quindi non quadra. Zespri replica: “Qualsiasi sfruttamento dei lavoratori è inaccettabile. Prendiamo estremamente sul serio le accuse e abbiamo avviato un’indagine in merito”

                      di Eugenio Felice

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                      Un raccoglitore di kiwi a Latina. Foto: Stefania Prandi / Irpi Media

                      L’indagine. Il primo marzo Irpi Media ha pubblicato l’indagine “Il sapore amaro dei kiwi“, che ha portato alla luce una situazione di sfruttamento diffuso della manodopera indiana, largamente utilizzata nei campi di raccolta di kiwi a Latina, prima provincia d’Italia e d’Europa per la produzione di questo frutto ricco di vitamine che viene dalla Nuova Zelanda. L’indagine ha comportato oltre 50 interviste tra Latina e Punjabi in India, da maggio a dicembre 2022. Sono stati sentiti i braccianti, le loro famiglie, le agenzie di viaggio, i sindacati dei lavoratori, le aziende agricole, le Organizzazioni di Produttori dove i frutti vengono conferiti (le cosiddette centrali ortofrutticole che si occupano di conservazione, selezione e confezionamento). È stata sentita anche Zespri, il brand globale dei kiwi per cui alla fine una parte rilevante di questa manovalanza indiana è impiegata. L’indagine è stata realizzata con il sostegno di Journalismfund.eu.

                      Le accuse. L’indagine riporta le testimonianze dirette dei lavoratori indiani, a volte senza contratto, a volte con contratti grigi (una parte della busta paga la devono ridare indietro in contanti al datore di lavoro), con paghe da 5 o 6 euro l’ora, 7 euro nei migliori dei casi (una rarità), controllati da capisquadra che urlano, insultano, sgridano e minacciano. La paga minima per un operaio agricolo stabilita dal contratto provinciale dovrebbe essere di circa 9 euro. Gli indiani arrivano dal Punjab e sono di religione sikh. Nella maggioranza dei casi non parlano l’italiano e questo è quello che vogliono i loro superiori. Secondo l’INPS sarebbero nella sola provincia di Latina quasi 9.500. In realtà sono molti di più, una parte senza permesso di soggiorno. Ancora: i lavoratori indiani sarebbero vittima di licenziamenti immotivati, privi di servizi igienici adeguati, con pause troppo brevi e senza i dispositivi obbligatori di protezione. Non mancano i suicidi per le terribili condizioni di vita e di lavoro.

                      La replica di Zespri. La multinazionale neozelandese considera le testimonianze riportate nell’indagine dei casi isolati: “Mentre la stragrande maggioranza dei datori di lavoro dell’industria dei kiwi si prende cura dei propri dipendenti, una piccola minoranza potrebbe non farlo. Qualsiasi sfruttamento dei lavoratori è inaccettabile e ci impegniamo a chiedere conto a chi è coinvolto. Prendiamo estremamente sul serio le accuse e abbiamo avviato un’indagine in merito, anche per capire come sostenere al meglio i lavoratori coinvolti”. Zespri collabora con più di 1.200 produttori di kiwi in Italia ai quali è richiesto il certificato GobalGAP GRASP, un modulo del noto standard internazionale volto proprio a tutelare i diritti dei lavoratori (pratiche sociali). Le centrali ortofrutticole contattate da Irpi Media hanno fatto sapere di non avere “niente a che fare con le responsabilità e gli obblighi delle aziende agricole fornitrici“.

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