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                      L’ortofrutta, quella giusta? Ciro Bruno: “Il responsabile è chi compra”

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                      Un fruttivendolo chiuso a Pescantina (VR) da oltre 10 anni (copyright: Fm)

                      Riceviamo e pubblichiamo una riflessione di Ciro Bruno, amministratore di Bruno Elio Srl, azienda specializzata nell’import-export di ortofrutta con sede a Veronamercato, impegnata nella valorizzazione del made in Italy e delle filiere sostenibili. Viviamo in un’epoca in cui vogliamo tutto e subito, al minor prezzo possibile. Internet ci ha aperto le porte del mondo, tutto è a portata di smartphone. Ma quale futuro ha l’agricoltura italiana? Come può difendersi dalle produzioni a costi più bassi di altri Paesi? Quali sono le conseguenze delle nostre scelte di acquisto, in Italia e dall’altra parte del mondo? Qual è il ruolo della grande distribuzione? Una riflessione attenta e profonda che non può lasciare indifferenti

                      Dalla Redazione

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                      Un fruttivendolo chiuso a Pescantina (VR) da oltre 10 anni (copyright: Fm)

                      Più volte nella nostra giornata, estraiamo i nostri telefoni cellulari, digitiamo qualcosa, alleghiamo una foto o un video ed inviamo il tutto. In tempo zero questo pacchetto dati raggiunge anche l’altra parte del mondo, riproducendo con estrema fedeltà il contenuto sullo schermo di uno smartphone, di un tablet o di un computer. Chiediamo di vedere come saranno i prodotti che stanno confezionando per noi tanto come la moltitudine di frutta tropicale che ogni giorno importiamo. Allo stesso modo inviamo foto e listini prezzi della merce che vorremmo vendere o che abbiamo venduto. Il raccontare a voce o per iscritto com’è non basta più da tempo oramai.

                      Tutto viaggia per immagini.

                      La pandemia da coronavirus ci ha costretti a limitare i contatti fisici, a concentrare la nostra vita attraverso il web. Con disinvoltura diamo per scontata l’immediatezza, tutto in tempo reale, eppure credo che nessuno si sia mai soffermato a pensare con quale rapidità una nostra azione possa cambiare, troppo spesso, in peggio, il mondo nel quale viviamo. Molte cose sono lontane da noi e tali vogliamo che restino o non pensiamo possano arrivare ad esserci così vicine, a colpirci. Un lavoratore sfruttato lo è tanto vicino quanto lontano, un sopruso resta sempre un sopruso.

                      Chi mai avrebbe pensato che un virus nella lontana Cina ci avrebbe messo così in ginocchio? Privato delle libertà e dell’aria che respiriamo? Purtroppo credo che nel fare la spesa quasi nessuno pensi a come andrà ripartito il prezzo, a chi andranno quei soldi che spende, per l’alimento, per il capo di vestiario e per il detersivo che mettiamo nel carrello, materiale o virtuale. Comperiamo con la logica del prezzo, se spendo meno posso comperare di più. Massimizzare i profitti. Non facciamo attenzione e così cancelliamo il guadagno di chi lavora o peggio prendiamo qualcosa sottocosto.

                      Non m’importa se il fattorino che mi ha portato la pizza è in regola, se viaggia su un mezzo idoneo e se le sue ore vengono pagate… il giusto.  Non è importante se il piccolo negozio sotto casa chiude, perché il colosso vende lo stesso prodotto in Internet, l’importante è averlo comperato a meno. Nel frattempo quel piccolo ridurrà i suo servizi, magari ridurrà i suoi lavoratori e inevitabilmente i profitti, dovuti ai nostri acquisti, andranno altrove, in modo indiretto anche noi presto o tardi avremo meno.

                      Il conto prima o poi però sono dell’idea che arrivi, la nostra vita noi la viviamo qui, abbiamo dei costi da sostenere parametrati al nostro stile di vita, e alla qualità alla quale ci siamo abituati, comperare significa scegliere. Non produciamo più perché costa troppo, ma lo compriamo già fatto altrove e nel frattempo la nostra filiera sparisce. Sfruttiamo i più deboli ma è sempre colpa di qualcun altro, se il mercato lo offre allora è anche giusto. A forza di tirare la corda ci troveremo sempre di più nelle condizioni di avere perso il potere d’acquisto per comperare quello che vogliamo vendere.

                      In prima persona ho iniziato a riflettere sul prezzo o costo della frutta quando ho visto le piantagioni di banane, arrivano da così lontano, vengono maturate qui vicino a noi e costano davvero sempre poco. Ho visto che esiste un mercato equo e solidale per alcuni prodotti che, a fronte di un prezzo ben più alto di quello “di mercato”,  ci vuole garantire un pagamento atto a coprire i costi di produzione, il non utilizzo di lavoro minorile, salvaguardando le condizioni di vita dei lavoratori e della popolazione locale, dell’ambiente. Le immagini di chi non ha abbastanza cibo ci spaventano ma la logica del prezzo aimè prevale nel momento di fare la spesa.

                      Il mio pensiero è dunque andato oltre, alcune colture sono sparite nelle nostre zone perché i costi di produzione risultano essere più alti rispetto ad altri Paesi comunitari, alcuni nostri contadini si sono dovuti reinventare, altri hanno cambiato lavoro. In nome di un prezzo più basso comperiamo altrove e nel frattempo produciamo sempre meno ma produrre meno significa anche aver meno impiego e meno rendita, essere un Paese meno ricco di risorse. L’alimentare è il primo bene, l’Italia è sempre stata famosa in tutto il mondo per il suo gusto inimitabile ma se in nome di un prezzo più basso produciamo altrove cosa possiamo chiedere al futuro?

                      Fin da piccolo ho sempre sentito dire che siamo quello che mangiamo. Spendere energie per trasportare la merce significa anche inquinare e dunque non è forse meglio concentrarsi sul capire quali siano i costi della nostra terra, mangiare il frutto di prossimità e rivolgersi a quello lontano solo quando i nostri frutti sono finiti? Puntare sulla nostra qualità, il nostro gusto e difenderlo?  L’aria che respiriamo e l’acqua che beviamo sono un tesoro inestimabile.

                      Soprattutto con il Covid vorrei aver imparato che l’acqua che spreco oggi qui la sto portando via a qualcun altro dall’altra parte del pianeta, l’aria che ho fatto inquinare altrove per produrre,  a  “costi più contenuti”, la giacca che ho addosso, o il frutto che mangerò, sicuramente un domani non così lontano la respirerò anche io. Vorrei prendere il meglio della globalizzazione ovvero capire che è nella diversità che sta la ricchezza e che tutelare i diritti altrui significa tutelare i nostri diritti e creare un futuro migliore.

                      Ciro Bruno

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