di Eugenio Felice
“Finalmente – esordisce Claudio Mazzini – si comincia a parlare non tanto dell’esistenza o meno del cambiamento climatico ma di quali sono gli effetti pratici e quali le azioni da mettere in campo per poterlo gestire. Il 2023 è stato un anno emblematico dal punto di vista produttivo, perché storicamente il clima ha sempre avuto effetti sulle produzioni agricole ma normalmente colpiva una o due categorie, invece lo scorso anno le ha colpite praticamente tutte con effetti anche inflattivi nuovi, tanto che per la prima volta si comincia a parlare di climate inflation e cioè di inflazione legata al clima. Ci sono nuovi modi di approcciarsi al problema che diventeranno assolutamente indispensabili per poter continuare a fare agribusiness”.
“In Sicilia – sottolinea il direttore freschissimi di Coop Italia – non piove in maniera significativa dall’8 giugno 2023 e le proiezioni sono che a ottobre Palermo rimanga senza acqua potabile. La Sicilia produce il 17% di quello che consumiamo in Italia e spostare le produzioni siciliane non è come spostare una fabbrica di automobili. Lato consumatori la percezione è legata al momento di picco, agli eventi più estremi. Tutti si ricordano l’alluvione in Emilia-Romagna dello scorso anno ma il fatto che poi sia seguita una delle estati più siccitose di sempre probabilmente non se lo ricordano. I consumatori si stanno abituando a questo cambiamento, un cambiamento che rischia di essere lineare”.
“Secondo le stime più pessimistiche – continua Claudio Mazzini – l’Italia corre il rischio di scendere sotto i 40 milioni di abitanti nel giro di 50 anni. Oggi siamo poco sotto i 60 milioni. È evidente che i consumi sono destinati a calare, la pancia del mercato nel giro di 10-15 anni comincerà ad assottigliarsi in modo vistoso. Inoltre il settore primario ha una necessità ormai endemica e strutturale di manodopera che non è possibile reperire in Italia. Oltre il 50% di quello che è made in Italy passa da mani non italiane: questo è un argomento che in termini di analisi del rischio va messo sul tavolo al pari del cambiamento climatico”.
“Parlando con alcuni operatori di prodotti agricoli è emerso che non si fanno più le programmazioni in base al mercato potenziale ma in base alla disponibilità di manodopera. Se le aziende prima programmavano quanti ortaggi piantare in base alle aspettative di vendita, ora si pianta quanto si prevede di riuscire a raccogliere. Questa è un’assoluta novità degli ultimi due anni. Credo – conclude il direttore freschissimi di Coop Italia – che o ci sbrighiamo a gestire i flussi di manodopera per poter continuare a produrre non solo beni primari ma il reddito connesso a tutta la filiera, o rischiamo di andare verso una crisi veramente molto profonda”.
Copyright: Fruitbook Magazine