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                      Orto Franco, a Trieste la prima vertical farm al mondo in zona franca

                      A Trieste nell’area industriale delle Noghere per la prima volta al mondo il regime di punto franco sarà applicato all’agricoltura. Nasce così Orto Franco, una grande piattaforma per l’innovazione nella filiera agricola nella free zone del porto, con vertical farming, orti urbani e un’area dedicata alla produzione di energia pulita. Si tratta di un progetto promosso dall’Autorità di sistema portuale del mare Adriatico orientale, Coselag e il Comune di Muggia per il rilancio dell’area delle Noghere

                      Dalla Redazione

                      Orto Franco Trieste porto

                      Il porto di Trieste in cui sorgerà il nuovo parco dell’agricoltura 2.0

                      Una vertical farm unica al mondo in una “free zone” al porto di Trieste, dove i vantaggi del regime di punto franco si abbinano a un nuovo concetto di agricoltura 2.0, all’insegna dell’innovazione e della massima sostenibilità. Il nome è già presente nella parola stessa, che se vogliamo l’anticipa: “(P)Orto Franco”. Si tratta del progetto di recupero a Trieste di un’area di grandi dimensioni nella valle delle Noghere, presentato il mese scorso dall’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale insieme al Consorzio di Sviluppo Economico Locale dell’Area Giuliana (Coselag) e il Comune di Muggia. Il progetto mira ad applicare – ed è il primo caso nel mondo – il concetto di agricoltura al porto franco, equiparandolo ad una lavorazione industriale.

                      Il progetto Orto Franco propone il recupero di un’area ampia di 31,3 ettari, tramite un progetto di sviluppo delineato da CRA (Carlo Ratti Associati). Tre sono le destinazioni d’uso principali, come riporta Trieste News: la prima è il parco dell’innovazione con l’area di zona franca, una vera e propria piattaforma per l’innovazione nella filiera agricola. Poi è prevista la realizzazione di un parco dell’energia che sarà sviluppato tramite il recupero e la riconversione delle cisterne presenti nel sito, trasformandole in batterie naturali che funzionano attraverso l’acqua e il solare, in linea con quanto già avviene in Svizzera con i laghetti alpini. Infine sorgeranno nell’area degli orti urbani destinati tanto alla produzione, quanto all’utilizzo da parte delle associazioni già attive in tal senso a Trieste. La zona verrà inoltre – ed è nuovamente un unicum in una zona industriale – riaperta al pubblico con piste ciclabili e pedonali.

                      Il progetto “verde” tiene conto dello stato attuale dei terreni, caratterizzati da degrado, ed è stato studiato considerando che il vertical farming non utilizza il terreno e pertanto risulta particolarmente adatto nel recupero di aree inquinate. Nelle colture idroponiche il consumo di suolo viene radicalmente ridotto, così come quello di acqua, diminuendo del 98% i consumi idrici rispetto all’agricoltura tradizionale; inoltre questo tipo di coltivazione consente l’introduzione di tecnologie innovative e sostenibili, con notevole riduzione dell’uso di pesticidi e fitofarmaci.

                      L’agricoltura verticale, poi, sarebbe catalogata proprio come “attività produttiva”, per cui non sarebbe necessario un cambio di destinazione d’uso dell’area, come ha affermato il presidente dell’Authority di Trieste, Zeno D’Agostino, nell’illustrare il progetto.

                      Il progetto Orto Franco è partito a inizio 2022; non c’è ancora un business plan vero e proprio, ma solo un piano di recupero da proporre a investitori interessati. Le aree sono in via di acquisizione da parte dell’Authority coi 60 milioni originariamente destinati, tramite PNRR, all’acquisto degli ettari necessari alla realizzazione del laminatoio nelle Noghere; fondi utilizzati anche per la prima opera di recupero dei terreni “inquinati”, ovvero la realizzazione di un piazzale per il parcheggio per il traffico via gomma di 25 mila metri quadri.

                      Per le aree già bonificate eventuali insediamenti potranno iniziare in un anno e mezzo. Per le aree inquinate il risanamento sarà più lungo. Il passo iniziale propedeutico allo sviluppo dell’area sarà un parcheggio per i tir. Entro il 2026 dovrà comunque essere tutto pronto, visto che i 60 milioni sul piatto arrivano dal Pnrr.

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