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                      Pesticidi, ortofrutta nel mirino: l’inchiesta (discutibile) di Rai3 e il parere degli esperti

                      Cocktail di fitofarmaci, micotossine, derive di pesticidi sulle aree gioco per bambini. E ancora multinazionali, aziende sementiere e interessi economici dietro a un sistema agricolo colpevole di avvelenare l’ecosistema e minaccia per la salute umana. Non risparmia nessuno la puntata del 25 settembre di “Indovina chi viene a cena”, il programma di Rai3 condotto da Sabrina Giannini che ha inaugurato la sua nuova stagione sparando a zero sul mondo ortofrutticolo. Abbiamo chiesto un parere a Greit, laboratorio di riferimento per le analisi chimiche e merceologiche. E ci siamo posti una domanda: in un contesto attuale in cui i cambiamenti climatici e le nuove avversità minacciano sempre di più l’agricoltura, la pandemia globale ha messo in ginocchio molti sistemi economici, i nostri agricoltori arrancano fra i costi alle stelle di logistica e materie prime, un’informazione di questo tipo a chi giova?

                      di Carlotta Benini

                      Pesticidi Indovina chi viene a cena

                      La puntata del 25 settembre del programma di Rai3 ha sparato a zero sul settore melicolo

                      “Abbiamo trovato fino a 13 residui di pesticidi sulle mele, erano nei livelli consentiti, ma perché non si vuole scoprire se quella miscela fa male? C’è un filo che lega la chimica ai semi delle aziende sementiere, che fanno pagare a caro prezzo i loro semi brevettati a chi non ha il diritto nemmeno di seminare quello che vuole. È un’agricoltura non democratica, che ci fa mangiare solo 200 specie vegetali, quando ne esistono 50 mila commestibili. Un’agricoltura che misura il peso e la grandezza della frutta, causando però un enorme spreco”. Si è aperta con queste parole la nuova stagione di “Indovina chi viene a cena”, il programma di inchiesta di Rai3 condotto da Sabrina Giannini che dal 25 settembre è tornato in onda il sabato in prima serata. La prima puntata dello scorso weekend, dal titolo “Una rivoluzione quasi verde” (guarda qui), ha puntato i riflettori sull’universo ortofrutticolo, dipingendolo – anche attraverso reportage piuttosto approssimativi e dai toni sensazionalistici – come il cattivo della storia, “legato a interessi economici più che a una vera ricerca di sostenibilità”. In particolare la puntata ha preso di mira il settore melicolo, quello che farebbe più di tutti uso di pesticidi. Lo staff della trasmissione ha fatto analizzare presso un laboratorio accreditato sette campioni di mele convenzionali e due di mele biologiche, acquistate in diversi canali di vendita. “Nei due campioni di mele bio – esordisce il servizio – non è stata trovata nessuna traccia, in quelle convenzionali invece sono state trovate alcune tracce di sostanze chimiche”. I residui di fitofarmaci rilevati, si precisa, risultano tutti entro i limiti stabiliti dalla legge, in percentuali dunque che non rappresentano una minaccia per la salute.

                      E dunque la notizia dove sta, viene subito da chiedersi? Ecco allora che viene tirato in ballo il tema del cocktail di fitofarmaci, ovvero la compresenza nei frutti di residui di più sostanze chimiche che, seppur rilevate in percentuali che rientrano nei limiti di legge, rappresenterebbero una miscela con effetti sulla salute sui cui qualcuno si interroga. Lo fanno ad esempio i ricercatori indipendenti come Fiorella Belpoggi, direttore scientifico dell’Istituto Ramazzini, esperta in tossicologia e cancerogenesi, che lancia l’allarme: “Non posso affermare che ci sia un rischio, ma posso dire che c’è un pericolo”. Il problema, secondo il servizio di Rai3, è che nessuno – l’industria in primis – oggi avrebbe interesse nel finanziare uno studio che misura l’effetto dei famigerati cocktail di fitofarmaci. Il servizio poi prosegue tirando in ballo la Commissione Europea e l’agenzia per la sicurezza alimentare Efsa. Non ci sono studi finanziati dalla Commissione europea sugli effetti delle miscele di pesticidi, afferma la dr.ssa Belpoggi. Efsa recentemente ha stabilito che le miscele di contaminanti diversi nei cibi che mangiamo non hanno effetti avversi sulla salute umana. “Tuttavia – ribadisce la ricercatrice – non esistono studi appropriati che avvalorano questa affermazione”.

                      Quindi, possiamo stare tranquilli quando mangiamo una mela? “Sulla base della nostra esperienza, la frutta commercializzata nel nostro Paese è sicura. L’argomento è complesso e dibattuto. Si possono comunque fare alcune considerazioni”, è il commento di Lorenzo Petrini, responsabile del laboratorio Greit di Bologna, realtà di riferimento a livello europeo per le analisi chimiche e merceologiche, alla quale abbiamo chiesto un parere sul servizio di “Indovina chi viene a cena”. “Tutti i campioni analizzati per il servizio mostravano risultati ampiamente al di sotto dei limiti di legge europei – prosegue -. Le valutazioni eseguite dall’EFSA sono in continuo aggiornamento e il progetto ‘EFSA-SANTE Action Plan on Cumulative Risk Assessment for pesticides residue’ è in evoluzione. Sarà necessario altro tempo, dato l’elevato numero di sostanze attive disponibili sul mercato e le conseguenti combinazioni, per arrivare a una conclusione definitiva”. “Ad oggi – aggiunge Petrini – esiste un modello di calcolo sviluppato dall’EFSA (EFSA Primo Model) che permette di stimare l’esposizione cronica (a lungo termine) e acuta (a breve termine) del consumatore ai residui di prodotti fitosanitari. Tale modello, benchè non rappresenti un obbligo legislativo, è già utilizzato da molti attori della filiera ortofrutticola per garantire ancora di più la sicurezza dei consumatori”.

                      Pesticidi Greit

                      Abbiamo chiesto un parere a Greit, laboratorio di riferimento per le analisi chimiche e merceologiche (copyright: Fm)

                      Dai pesticidi il servizio di Rai3 passa quindi a citare altri contaminanti che possono essere riscontrati sui frutti e che contribuirebbero ad aumentare il cosiddetto effetto miscela: i metalli pesanti e le muffe naturali, ad esempio. Per questa analisi sono stati affidati altri sette campioni di mele convenzionali al laboratorio del dipartimento di Farmacia dell’Università Federico II di Napoli, incaricato di ricercare sui frutti la presenza della patulina, una micotossina dagli effetti tossici sul nostro organismo, “che si accompagna spesso con quello che viene chiamato il marciume delle mele”, spiega il professor Alberto Ritieni. La patulina, secondo quanto afferma il professore, può ritrovarsi in sottoprodotti come succhi di frutta e marmellate “spesso destinati al mercato dei più piccoli”. Le tracce di patulina, lo dice il reportage stesso, sono state rilevate sui campioni di mela analizzati dopo 15 giorni dall’acquisto (e nemmeno su tutti, ma solo su quattro di sette), mentre sul prodotto appena comprato non è risultata nessuna traccia della micotossina. Oltretutto si precisa, anche in questo caso, che le tracce di patulina rilevate nei campioni di mele sovra mature erano comunque entro i limiti consentiti dalla legge. Posto che il comparto del baby food è uno dei più rigorosi e controllati di tutti, stando al servizio dobbiamo quindi pensare che, per fare trasformati di mela, si utilizzino anche frutti prossimi al marciume? Perché, usando certi termini, è questo che fa intendere il servizio, a un pubblico non esperto.

                      “La Patulina è una micotossina tipica del marciume dei frutti, in particolare delle mele – ci spiega Andrea Villani, coordinatore del laboratorio Greit -. Viene prodotta da funghi del genere Aspergillus, Penicilium e Byssochlamis associati ai processi degenerativi dei parenchimi del frutto. È generalmente assente nei frutti sani. Pertanto, una corretta raccolta dei frutti, che ne eviti soprattutto i danni traumatici, una buona tecnica conservativa (a temperatura e umidità idonee) e di cernita/segregazione, limitando o eliminando i prodotti non conformi, proteggono dalla contaminazione da questa micotossina”.

                      A proposito di buone tecniche di conservazione, il servizio di Rai3 prosegue mostrando le celle ipogee di Melinda, dove le mele della Val di Non vengono conservate in modo naturale fino a 12 mesi. Non è invece dipinto come un metodo naturale l’utilizzo di 1-metilciclopropene (1-MCP), un principio attivo che blocca l’azione dell’etilene nella frutta rallentandone il naturale processo di maturazione, alla base di prodotti come lo SmartFresh dell’azienda Agrofresh. L’1-MCP, essendo un gas, lascia meno tracce sui prodotti ortofrutticoli e non viene cercato con frequenza dalle analisi, si afferma nel servizio Rai. Quindi un’ulteriore sostanza si unirebbe al famigerato cocktail di residui.

                      Pesticidi Indovina chi viene a cena

                      Parole e immagini forti, nel servizio di Rai3, dipingono il settore ortofrutticolo come l’avvelenatore dell’ecosistema

                      La puntata di “Indovina chi viene a cena” del 25 settembre prosegue poi con una serie di considerazioni piuttosto approssimative e basate su luoghi comuni sull’universo ortofrutticolo, dipinto come “l’avvelenatore” che causa la perdita della biodiversità e mina la salute umana. Si parla del caso di Malles, piccolo comune della Val Venosta che dal 2014 è coinvolto in un’intricata vicenda giudiziaria scaturita dal referendum con cui l’amministrazione tentò di vietare sul proprio territorio l’uso di pesticidi, ritenuti dannosi per la salute dei cittadini e in particolare dei più piccoli. Si parla di un sistema melicolo alto atesino dall’approccio “tirannico” nei confronti dei produttori, che non sarebbero liberi di scegliere come e cosa coltivare, pena il ricevere “minacce e atti sabotatori” (cit.). Si parla dello studio 2018 del Pan (Pesticide Action Network Europe) sulle derive di pesticidi nei parchi giochi di Bolzano; in particolare si cita il Chlorpyrifos-methyl, “un principio attivo neurotossico, dannoso per lo sviluppo cognitivo dei bambini”, sottolinea nel servizio la professoressa Belpoggi, per questo revocato nel 2020 dalla Commissione Europea in attesa di una valutazione da parte di Efsa. Si passa quindi a parlare della cimice asiatica e di atri agenti infestanti che negli ultimi anni hanno colpito la frutticoltura e di come “l’utilizzo di Chlorpyrifos-methyl sia stato riammesso in deroga per contrastare situazioni di emergenza, unitamente a un altro principio attivo, il Thiacloprid, anche questo revocato dal mercato nel 2020 perchè ritenuto dannoso per la salute delle api ma il cui utilizzo è stato autorizzato fino a febbraio 2021”.

                      Il servizio di Rai3 non risparmia nessuno: le multinazionali che finanziano le monocolture e “alle quali i governi hanno donato su un piatto d’argento il nostro patrimonio naturale” (cit.), le aziende sementiere, le grandi aziende agricole che negli anni si sarebbero accaparrate tutti i fondi delle politiche agrarie comunitarie buttando fuori dal mercato quelle più piccole, la Distribuzione Moderna che causa ogni anno tonnellate di spreco escludendo dalla commercializzazione quei prodotti ortofrutticoli che non hanno le giuste caratteristiche estetiche e non rispondono agli standard imposti dal mercato (“si butta un terzo della frutta e verdura”, cit.). Parole forti, accompagnate da immagini che evocano scenari catastrofici: vediamo trattamenti aerei sui campi, nubi di pesticidi nebulizzati sulle colture, allevamenti intensivi, “cieli immensi di plastica” (sul finale si cita anche il caso di Almeria, in Spagna, dove 50 mila ettari di serre hanno modificato il paesaggio).

                      “Il panorama della produzione ortofrutticola andrebbe valutato a trecentosessanta gradi – conclude Lorenzo Petrini di Greit -. I produttori italiani negli ultimi anni hanno dovuto fronteggiare avversità che li hanno fortemente penalizzati: i cambiamenti climatici e le infestazioni di nuovi insetti non hanno facilitato la riduzione dell’uso dei prodotti fitosanitari. Un cambiamento è necessario, questo è certo, ma per la cosiddetta rivoluzione verde servono investimenti, competenze e forse anche un ricambio generazionale. È necessario un cambiamento culturale, che non metta più al primo posto l’aspetto estetico del prodotto, ma la sua qualità e la sua sicurezza. E in tutto ciò il consumatore può e deve giocare un ruolo fondamentale”.

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