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                      Siccità: il Po non è più un “grande fiume”. Il cuneo salino risale di 40 km

                      Il grande fiume oggi non esiste più: con una portata ridotta a 100 metri cubi al secondo, il Fiume Po è in grave siccità, visto che in condizioni normali la sua portata si attesta sui 1053 metri cubi al secondo. A questo si aggiunge la risalita di 40 km del cuneo salino che va quindi a intaccare i prelievi per uso potabile, mettendo in difficoltà non solo i cittadini ma anche gli agricoltori. E non bastano nemmeno le piogge di questi giorni a placare la sete del più grande fiume d’Italia, che hanno portato più danni che benefici a causa del loro carattere temporalesco. L’agricoltura risponde anticipando i raccolti, quando possibile, o diradando i frutti sugli alberi, eliminando quelli non in grado di sopravvivere. Ma Coldiretti stima comunque perdite fino al 70% per la frutta e gli ortaggi nei campi

                      Dalla Redazione

                      po siccità

                      Foto dell’Anbi a Stellata di Bondeno (FE), Polo Pilastresi

                      Il record del 2003 è stato infranto. L’estate di 19 anni non è più la peggiore degli ultimi decenni, almeno in termini di siccità. È il 2022 il nuovo “anno horribilis” per caldo ed emergenza idrica. Lo può confermare il fiume Po, che ad oggi vede una portata ridotta a 100 metri cubi al secondo (al rilevamento dell’Anbi nel ferrarese di Pontelagoscuro). Numeri che fanno pensare, considerando che la portata media del fiume in condizioni normali è di 1053 metri cubi al secondo, mentre il record di portata minima mensile era di 237 metri cubi al secondo (registrato a luglio 2006).

                      Sotto i 100 metri cubi al secondo il corso d’acqua non è più considerabile un “grande fiume”. Una situazione che porta con sé conseguenze gravi su tutti gli ecosistemi del bacino idrico e della pianura padana. A dare l’allarme, ancora una volta, è l’Osservatorio Anbi sulle risorse idriche che da mesi sta monitorando la situazione di emergenza dovuta alle alte temperature e alle scarsissime precipitazioni che hanno caratterizzato l’inverno e la primavera. E non bastano nemmeno le piogge di questi giorni a placare la sete del più grande fiume d’Italia, che hanno portato più danni che benefici a causa del loro carattere temporalesco. A questo si aggiunge la risalita del cuneo salino che ad oggi durante l’alta marea sfiora i 40 km dalla foce del Po di Goro. Un fenomeno che interessa i tratti terminali della gran parte dei fiumi settentrionali e che sta quindi intaccando i prelievi ad uso potabile.

                      “Nel Nord Italia è una condizione di siccità finora sconosciuta —Francesco Vincenzi, presidente dell’Anbi — ed è evidente che non basterà qualche temporale a riportare in equilibrio il bilancio idrico. In questa prospettiva è ancora più preoccupante che siano proprio Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte, le regioni che, nel 2021, hanno maggiormente consumato e cementificato suolo, sottraendolo all’agricoltura ed alla naturale funzione di ricarica delle falde, accentuando al contempo il rischio idrogeologico”.

                      Le conseguenze della siccità sommate ai rincari scatenati dalla guerra in Ucraina, sottolinea Coldiretti sulla base di dati Crea, costringono circa 250 mila le aziende agricole italiane, un terzo del totale (34%), a produrre in perdita. Più di un agricoltore su 10 (13%) si trova oggi in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività. Secondo una stima Coldiretti se l’attuale situazione climatica dovesse perdurare ancora a lungo i danni da siccità potrebbero arrivare a 6 miliardi di euro, “bruciando” il 10% del valore della produzione agricola nazionale.

                      Nello specifico, con le piogge praticamente dimezzate nel 2022 e più di un quarto del territorio nazionale (28%) a rischio desertificazione, la produzione di grano in Italia è stimata quest’anno in calo del 30% per effetto della siccità che ha tagliato le rese dal Nord a Sud del Paese, secondo Coldiretti. Ma ad essere in sofferenza sono anche girasole, mais, con percentuali che al Nord arrivano al -45%, e gli altri cereali ma anche i pascoli ormai secchi per l’alimentazione animale.

                      Con il 60% di precipitazioni in meno rispetto alla media storica e con 2 gradi di temperatura in più rispetto agli ultimi anni, per gli ortaggi e la frutta in alcuni territori si stimano perdite fino al 70% con danni alle ciliegie in Puglia ed Emilia Romagna, angurie e meloni e scottati dal caldo in Veneto, pere e albicocche rovinate nel Ferrarese, barbatelle bruciate che perdono le foglie nei vigneti toscani attorno a Firenze, pesche soffocate dalla calura che cadono dai rami prima di riuscire a svilupparsi completamente e giovani ulivi in stress idrico. A cambiare nelle campagne sono state anche le scelte di coltivazione con – evidenzia la Coldiretti – un calo stimato di diecimila ettari delle semine di riso, che a causa della siccità potrebbero anche perdere un terzo del raccolto.

                      Per evitare le scottature da caldo, come fa sapere anche Coldiretti, gli agricoltori cercano quando possibile, di anticipare il raccolto o diradare i frutti sugli alberi, eliminando quelli non in grado di sopravvivere. Quanto al pomodoro da industria, la raccolta è ormai cominciata con una settimana di anticipo, ma nonostante questo si stima un calo del raccolto dell’11%.

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