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                      Siccità, preoccupa l’avvio della stagione irrigua: i fiumi sono già a secco

                      Il 2023 sembra proseguire sulla scia della siccità del 2022, considerato l’anno più caldo dal 1800 (+1,15 gradi in più rispetto al periodo 1991-2020), in cui sono cadute il 40% in meno di piogge nelle città italiane rispetto alla media annuale degli ultimi 30 anni mentre in questo inverno ha nevicato il 45% in meno rispetto alla media, con punte di 53% in meno sulle Alpi e nei tre laghi del Nord, i più grandi d’Italia, manca più della metà dell’acqua. A farne le spese ovviamente è l’agricoltura con la Pianura Padana che rischia di perdere dal 30 al 50% della sua produzione agricola se le cose non cambiano: solo lo scorso anno infatti le perdite economiche legate alla siccità sono state di 6 miliardi. Ma a soffrire della siccità è anche la produzione di energia idroelettrica e se l’anno scorso si è parlato molto di ammodernamento della rete idrica e creazione di invasi per raccogliere l’acqua invernale, ad oggi raccogliamo solo l’11% delle acque che cadono sul territorio italiano ed è stato attuato solo il 2% del piano laghetti lanciato a novembre 2021

                      Dalla Redazione

                      siccità

                      immagine d’archivio del Po

                      Il 2023 eredita il clima caldo e siccitoso del 2022. Infatti, il 2023 registra a gennaio una temperatura superiore di 0,96 gradi rispetto alla media storica lungo la Penisola, secondo l’analisi Coldiretti su dati Isac Cnr, alla quale si somma il perdurare della siccità con la mancanza di piogge e nevicate significative.

                      Nelle prime settimane del 2023, secondo gli ultimi dati emanati dall’ANBI (associazione nazionale bonifiche e irrigazioni), la regione più arida è stata il Piemonte. Nello specifico, a Torino il livello del fiume Po è a -46% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, che già era stato secco, mentre a Piacenza la portata del fiume ha raggiunto un nuovo minimo storico: 307 metri cubi di acqua al secondo contro i precedenti 333. Oggi, secondo i dati di Cima Research Foundation, il bacino del Po registra un deficit del 61%.

                      Non se la passa meglio la Lombardia dove l’Arpa ha segnalato il 44,5% di riserve idriche in meno rispetto alla media tra il 2006 e il 2020, il livello dei laghi era inferiore del 51,6%, mentre sulle montagne il manto nevoso era solo il 46,2%della media. E nei primi giorni di febbraio di miglioramenti non se ne sono visti.

                      Anche in Veneto la siccità si fa notare. A gennaio i principali fiumi (Adige, Bacchiglione, Piave, Livenza) ristagnano ai livelli minimi del decennio. La portata del fiume Adige, nello specifico, era del 22% inferiore rispetto alla media tra il 2004 e il 2019. Soltanto nel 1987 il lago di Garda aveva raggiunto un livello più basso dell’attuale nei mesi invernali.

                      Se si guarda infatti ai tre grandi laghi d’Italia nello specifico, si vede che il lago di Garda, il più grande d’Italia, vede un 35% di acqua rispetto alla media stagionale, il lago di Como è al 20% mentre il lago Maggiore è al 38%.

                      In Fruili Venezia Giulia i laghi e i bacini sono ai minimi storici: servirebbero infatti dai 40 ai 45 giorni di pioggia intermittente per rimettere a posto la situazione idrica nella Regione. Di conseguenza i Consorzi sono già pronti a chiedere ai sindaci le ordinanze per i razionamenti. “Con una quarantina di giorni di pioggia – fa sapere Stefano Zannier, referente dell’Agricoltura regionale – riusciremmo a riempire i bacini, riportare il livello giusto di acqua nei fiumi, rianimare subito le campagne e soprattutto riempire le falde che in questo momento sono ancora bassissime. Certo è che se le cose non migliorano – conclude Zannier – sarà una stagione complicatissima. È positivo il fatto che gli agricoltori abbiano già differenziato la produzione per evitare di andare dove bagnare tanto nelle stagioni più secche, ma in ogni caso, stante così la situazione, credo che non ne verremmo comunque fuori”.

                      In Emilia Romagna, le portate dei fiumi sono generalmente in calo ed è impietoso il confronto con le medie storiche del periodo (Secchia: mc/s 2,72 contro mc/s 24,10; Reno: mc/s 5,3 contro mc/s 22.60…) fa sapere l’Anbi.

                      E se in linea di massima il Centro e Sud Italia la situazione non è grave quanto al nord, benché si preannunciano mesi difficili a causa dell’assenza di precipitazioni significative a febbraio, c’è da dire che il 19 febbraio alla stazione di rilevamento di Ripetta, il Tevere contava una portata d’acqua di 5,74 metri. In un andamento oscillante (come madre natura, in pratica, impone), spiccano i 7,33 metri giusto di un mese fa, il 23 gennaio. Il fiume (la cui acqua derivata dallo scioglimento della neve è calata del 34%) è sempre più a secco, in un trend che si vede da tempo e che è sempre più in peggioramento. In Umbria inoltre torna a calare l’altezza idrometrica del lago Trasimeno (in crisi da molti mesi) e del fiume Tevere, che altresì permane costante nel Lazio, dove invece scendono le quote dei laghi di Bracciano e di Nemi, e le portate di Sacco, Liri e soprattutto Aniene, nettamente sotto la media storica del periodo.

                      Se si dà uno sguardo alle regioni del Centro e Sud Italia – rifacendoci ai dati dell’ANBI – si vede come in Toscana le piogge delle settimane scorse sono già un lontano ricordo con il fiume Serchio in magra e l’Arno tornato sotto il minimo storico mensile, confermando un ormai acclarato regime torrentizio. A calare sono anche i livelli dei principali corsi d’acqua nelle Marche mentre, in controtendenza, aumentano di oltre 2 milioni di metri cubi i volumi invasati nei principali bacini artificiali, segnando la migliore performance del recente quinquennio.

                      In Abruzzo, il mese di gennaio è stato particolarmente generoso di pioggia con record registrati sulla Marsica e lungo le coste pescarese e teatina. In Molise l’altezza idrica registrata nel bacino della diga del Liscione è in linea con quella positiva dello stesso periodo del 2022. Calano i livelli dei fiumi in Campania, pur mantenendosi superiori allo scorso anno. In Puglia si registra un ulteriore incremento dei volumi trattenuti negli invasi, il cui surplus sul 2022 sale a 82,49 milioni di metri cubi; resta saldamente in attivo anche il bilancio idrico nei bacini della Basilicata, dove è già iniziata la stagione irrigua come confermato da un calo settimanale di oltre 4 milioni di metri cubi. Un’osservazione particolare merita, infine, la situazione della Sicilia, caratterizzata da una situazione pluviometrica “a macchia di leopardo” e penalizzata da una deficitaria condizione infrastrutturale.

                      Da metà settimana, almeno secondo le previsioni degli esperti, potrebbe arrivare un po’ pioggia. Quanta, però, non è dato sapere anche se sembra, in ogni caso, che non si tratterà di grandi cose. Di conseguenza l’emergenza siccità continua e che la situazione, giorno dopo giorno, si fa sempre più complicata.

                      A farne le spese ovviamente è l’agricoltura, settore che utilizza circa il 70% di tutta l’acqua proveniente da fiumi, laghi e falde sotterranee sfruttata per le attività umane. Lo scorso anno la mancanza di acqua portata nei campi dai canali di irrigazione costrinse moltissimi agricoltori a scegliere quali coltivazioni irrigare e quali no, con conseguenze per raccolti, investimenti programmati e guadagni. Alcuni hanno commissionato lo scavo di nuovi pozzi, un’operazione molto costosa. Altri hanno cambiato le tecniche di irrigazione per sprecare meno acqua possibile, per esempio adottando la tecnologia dell’agricoltura di precisione.

                      Lo scorso anno il Friuli Venezia Giulia ha chiesto allo Stato centrale 300 milioni di danni. Diverse aziende, però, non hanno ancora ottenuto l’intero rimborso e già si devono mettere in allarme per questa stagione. Il mancato raccolto nel 2021-22 era stato intorno al 30% a causa della siccità. La percentuale questa volta rischia di essere superiore se non arriverà la pioggia. La Pianura Padana – dalla quale dipende 1/3 del Made in Italy a tavola – nel 2022 ha perso 6 miliardi a causa della siccità e quest’anno, la situazione è peggiore di quella dello scorso in quanto rischia di perdere dal 30 al 50% della sua produzione agricola. Solo di riso quest’anno verranno coltivati in Italia quasi 8mila ettari in meno, per un totale di appena 211mila ettari, ai minimi da trenta anni, secondo sulla base delle previsioni di semina.

                      Ma a soffrire della siccità è anche la produzione di energia idroelettrica: durante la siccità del 2022 è scesa di quasi il 40% e a gennaio di quest’anno le condizioni sono peggiori rispetto al 2022.

                       

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                      E se l’anno scorso si è parlato molto di efficientamento, ammodernamento della rete idrica e creazione di invasi per raccogliere l’acqua invernale, ad oggi raccogliamo solo l’11% delle acque che cadono sul territorio italiano ed è stato attuato solo il 2% del piano laghetti lanciato a novembre 2021 per la creazione di 10 mila piccoli bacini che portassero il riutilizzo della acque piovane al 35% entro il 2030. Amministratori e agricoltori di molte regioni d’Italia, soprattutto al Nord, sono comunque al lavoro per gestire l’acqua in modo più accorto rispetto allo scorso anno. Già dall’autunno le associazioni degli agricoltori hanno chiesto ai consorzi di bonifica e alle regioni di gestire meglio l’acqua: in sostanza – si legge sul Post – la richiesta è di non rilasciare l’acqua in questo periodo per alimentare le centrali idroelettriche, ma di custodirla negli invasi, come i laghi, in vista di periodi critici per l’agricoltura.

                      Resta il fatto che a partire dai prossimi mesi “la domanda di acqua per uso agricolo si aggiungerà agli attuali usi civili e industriali che sono già in sofferenza e il fabbisogno idrico nazionale sarà insostenibile rispetto alla reale disponibilità” fa sapere Legambiente.

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