Dalla Redazione
“Ben venga l’accordo di libero scambio siglato tra l’Europa e la Nuova Zelanda. Un lavoro importante che contiene però alcuni problemi che dovrebbero essere affrontati. Specialmente nel caso del kiwi – il frutto neozelandese più importante – i nostri produttori son ben lieti di collaborare con le autorità neozelandesi, ma non vedo la stessa apertura da parte loro. Mi riferisco alle non-tariff barriers che dovrebbero essere riconsiderate nell’interesse dei nostri produttori”. Questa l’affermazione, o per meglio dire la richiesta, che l’onorevole europarlamentare Campomenosi ha posto in commissione INTA (International Trade) del Parlamento europeo, che ospitava il Ministro del commercio Jozef Síkela, in rappresentanza del Consiglio, per presentare le priorità della Presidenza della Repubblica Ceca nell’area del commercio internazionale.
Il contesto. L’accordo di libero scambio tra Nuova Zelanda e l’Unione Europea, concluso il 30 giugno 2022 tra la Commissione Europea e il governo neozelandese guidato da Jacinda Ardern, interesserà prettamente i settori dell’agricoltura, del tessile, del digitale, dell’energia e, per la prima volta, dell’ambiente. Di fatto è un’intesa sull’eliminazione dei dazi sulle rispettive esportazioni industriali e alimentari. Ma è anche il primo accordo di questo tipo a prevedere anche delle sanzioni in caso di “violazione sostanziale” dell’accordo sul clima di Parigi (qui tutto il testo). Coinvolti quindi anche i kiwi neozelandesi visto che l’accordo prevede di conseguenza anche il taglio netto delle tasse sulle esportazioni di kiwi neozelandesi verso l’Unione Europea dal momento della sua entrata in vigore.
Chiare le parole dell’europarlamentare Campomenosi durante l’intervento in commissione il 13 luglio, nel quale l’onorevole richiama l’attenzione al Free Trade Agreement UE-NZ, che considera sì importante, ma nel quale riconosce vi siano alcuni problemi che dovrebbero essere affrontati, dopo l’approvazione, specie sulla reciprocità di trattamento con riguardo al frutto neozelandese più importante, il kiwi.
L’onorevole infatti ricorda come il kiwi venga prodotto per sei mesi nell’Emisfero Sud, ma per gli altri sei mesi nella nostra parte del mondo (Italia in primis). “I produttori europei sono ben lieti di collaborare con le autorità neozelandesi – fa sapere -, ma non accade lo stesso al contrario”: il riferimento è alle non-tariff barriers “che – prosegue – dovrebbero essere riconsiderate nell’interesse dei nostri produttori”.
Di fatto le non-tariff barriers sono barriere non tariffarie adottate da un Paese (spesso come parte della loro strategia politica o economica) per limitare l’importazione o l’esportazione di merci con mezzi diversi dalle tariffe. Le barriere non tariffarie includono licenze di importazione, ispezioni pre-imbarco, regole di origine, ritardi doganali e altri meccanismi che impediscono o limitano il commercio.
Da sottolineare comunque come i testi dell’accordo concluso sono stati pubblicati nell’ottica dell’interesse pubblico dei negoziati a solo scopo informativo e potranno subire ulteriori modifiche, anche a seguito del processo di revisione giuridica. Di conseguenza, l’accordo potrebbe entrare in vigore tra 18-24 mesi, previa approvazione del Parlamento europeo e dei governi dell’UE, un processo che in alcuni casi si è trascinato per anni.
L’attuale commercio bilaterale dell’UE con la Nuova Zelanda ammonta già a 7,8 miliardi di euro all’anno per le merci e a 3,7 miliardi di euro per i servizi. L’UE esporta in Nuova Zelanda beni per un valore di 5,5 miliardi di euro all’anno e importa prodotti neozelandesi per 2,3 miliardi di euro, con un conseguente surplus commerciale per l’UE di 3,2 miliardi di euro (fonte Commissione Europea).
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