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                      Martedì 18 ottobre è passato in via definitiva anche alla Camera il nuovo ddl sostenuto fortemente dai ministri Martina e Orlando per tutelare i lavoratori del settore agricolo contro ogni forma di sfruttamento. Oltre a un aumento delle pene, sia per l’intermediario che per il datore di lavoro, non solo in caso di reclutamento abusivo dei braccianti, ma anche in caso di violazione delle condizioni di igiene e sicurezza, di contratti non regolari o di salari troppo bassi, viene introdotta la confisca dei beni, l’arresto in flagranza e la reclusione fino a sei anni, otto in caso di minacce o violenza. Se c’è soddisfazione da parte delle istituzioni e dei sindacati, dalle associazioni di categoria e dal mondo dell’imprenditoria agricola emergono le prime perplessità e non poca preoccupazione. Secondo Confagricoltura, nell’attuazione delle nuove norme legislative, inasprite, c’è il rischio che si applichino provvedimenti penali anche a condizioni lievi e isolate, più che alle vere situazioni di illegalità da debellare. Per dare un segnale forte dal settore contro i provvedimento previsti dalla nuova legge, Giacomo Suglia presidente dell’Apeo, l’associazione dei produttori ed esportatori ortofrutticoli aderente a Fruitimprese Puglia, si è dimesso dalla sua carica (aggiornamento del 20 ottobre)

                       

                      Dalla Redazione

                       

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                      La nuova legge contro il caporalato prevede un inasprimento delle pene non solo per gli intermediari, ma anche per i datori di lavoro

                      La Camera ha approvato in via definitiva la nuova legge contro il caporalato, fortemente voluta dal ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina e dal ministro della Giustizia Andrea Orlando. Dopo l’approvazione al Senato dello scorso agosto, Montecitorio ha dato l’ok alle norme che prevedono il carcere fino a sei anni per chi sfrutta i lavoratori dell’agricoltura, con 346 voti a favore e nessun contrario. Il provvedimento riscrive la norma precedente indicando innanzitutto un inasprimento delle pene: d’ora in poi saranno sanzionabili, anche con la confisca dei beni, non solo gli intermediari illegali, ma anche i datori di lavoro consapevoli dell’origine dello sfruttamento. Oltre alle multe è prevista la reclusione da uno a sei anni; se poi i fatti sono commessi mediante violenza e minaccia, la pena aumenta da cinque a otto anni ed è previsto l’arresto in flagranza.

                       

                      Le nuove norme individuano come indice di sfruttamento “la corresponsione ripetuta di retribuzioni difformi dai contratti collettivi e la violazione delle norme sull’orario di lavoro e sui periodi di riposo”, in pratica salari troppo bassi e straordinari non pagati. Altri parametri presi in considerazione per indicare lo sfruttamento sono le violazioni delle regole per la sicurezza nei luoghi di lavoro, la sottoposizione a metodi di sorveglianza e anche le situazioni in cui i lavoratori sfruttati vengono alloggiati.
                      Tra le novità della normativa c’è anche il potenziamento della Rete del Lavoro Agricolo di Qualità, come strumento di controllo e prevenzione del lavoro nero in agricoltura. Proprio nei campi il fenomeno registra da sempre la sua maggior rilevanza per lo sfruttamento dei lavoratori stranieri impiegati nelle raccolte stagionali.
                      “Sulla dignità non si tratta” è il commento a caldo del ministro Martina. “ Ora abbiamo più strumenti utili per continuare una battaglia che deve essere quotidiana. – continua – E l’agricoltura si è messa alla testa di questo cambiamento, che serve anche a isolare chi sfrutta e salvaguardare le migliaia di aziende in regola che subiscono una  ingiusta concorrenza sleale. È ancora più importante averla approvata oggi che la campagna agrumicola è alle porte”.

                       

                      Entusiaste anche le reazioni dei sindacati, che parlano di legge “buona e giusta” e di “un vero traguardo di civiltà”. “Ci eravamo presi l’impegno di approvare il disegno di legge sul contrasto al caporalato e allo sfruttamento del lavoro nero in agricoltura, e lo abbiamo mantenuto», commenta soddisfatto il presidente della Commissione agricoltura della Camera Luca Sani, mentre Don Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera, parla di “un provvedimento necessario che va a colmare una lacuna dell’attuale legislazione italiana’’. Di “passo determinante per dare dignità al lavoro nei campi” parla anche il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo che aggiunge come il lavoro nei campi “ora vada tutelato anche per i prodotti importati che arrivano in Italia, troppo spesso sottocosto proprio a causa dello sfruttamento, anche minorile”.

                       

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                      Confagricoltura Puglia esprime tutta la sua perplessità per la nuova legge: “Qui ci trattano come mafiosi”

                      Ma non c’è solo entusiasmo per l’approvazione della nuova legge a tutela dei lavoratori nei campi. Alcune associazioni di categoria che rappresentano l’imprenditoria agricola hanno espresso infatti in questi giorni la preoccupazione che, nell’attuazione delle norme legislative, si applichino provvedimenti penali a condizioni lievi e isolate, più che alle vere situazioni di illegalità da debellare.

                       

                      Confagricoltura, su vari fronti a livello nazionale e locale, si dissocia dall’equazione “imprenditori uguale sfruttatori”. “Qui ci trattano come mafiosi. – esordisce Donato Rossi, presidente Confagricoltura Puglia, nella sua intervista su Tg Tre regionale (guarda qui) a poche ore dall’approvazione definitiva della legge – È un’affermazione forte, ma in questo momento è pertinente a un atteggiamento riottoso da parte di governo centrale, che non vuole accogliere le nostre istanze”. “Noi non siamo assolutamente contro la legge, anzi. – continua Rossi – Apprezziamo i profili e i contenuti, ma questi contenuti devono essere contemplabili in un sistema di impresa che possa recepire questi cambiamenti. La legge sul caporalato ha delle interpretazioni che sono molto ampie e molto discusse, e io invece credo che ci si dovrebbe focalizzare meglio sugli argomenti, essendo sicuri che non venga messo a rischio il futuro dell’impresa, unitamente al posto di lavoro”.

                       

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                      Giacomo Suglia, presidente dimissionario di Apeo

                      L’inasprimento della legge, secondo Confagricoltura, va letto assieme all’inserimento nel Codice degli indicatori di sfruttamento del lavoro: si tratta di indicatori alternativi tra loro, cioè basta che ne ricorra uno solo per rilevare lo sfruttamento. “Il modo in cui questo meccanismo opera, però, è molto pericoloso, – sottolinea il presidente di Confagricoltura Taranto Luca Lazzàro – perché allarga lo spettro d’intervento a violazioni lievi e meramente formali di normative legali e contrattuali, quali il rispetto dell’orario di lavoro, la retribuzione, l’igiene. Il governo ignora i segnali d’allarme che arrivano da associazioni come la nostra, preoccupata che nella foga di issare una bandiera-simbolo contro l’illegalità, si finisca col travolgere anche la legalità, in cui si muove grandissima parte del settore agricolo”.

                       

                      Dalle parole si passa anche ai fatti. A confermare la perplessità del settore sui nuovi provvedimenti previsti dal ddl Caporalato, è la dimissione di Giacomo Suglia dalla carica di presidente dell’Apeo, l’associazione dei produttori ed esportatori ortofrutticoli, aderente a Fruitimprese, della quale fanno parte le principali aziende agricole pugliesi. Suglia ha comunicato le sue dimissioni il 19 ottobre, il primo giorno di applicazione della legge. Anche Suglia sottolinea una “sordità” da parte del Governo centrale nei confronti delle esigenze degli operatori del settore, che avrebbero voluto collaborare con le istituzioni per risolvere insieme alcuni passaggi particolarmente delicati nell’applicazione della nuova normativa.

                       

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