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                      Anche la Gdo firma la petizione per l’etichetta trasparente

                      etichetta trasparente
                      “Nessuno tocchi l’indicazione dello stabilimento di produzione”, è la petizione creata in seguito all’emanazione da parte dell’Ue di alcune norme secondo le quali non è più obbligatorio, ai fini della tracciabilità, riportare sull’etichetta l’indirizzo dello stabilimento di produzione. Pugliese (Conad): “Si rischia di delocalizzare l’eccellenza agroalimentare regionale italiana e di far perdere valore al made in Italy, dando spazio all’agropirateria internazionale”

                       

                      etichetta trasparenteTutelare il made in Italy, l’industria, i grandi marchi (private label) e i piccoli brand: con questo obiettivo è stata creata la petizione “Nessuno tocchi l’indicazione dello stabilimento di produzione”, creata in seguito all’emanazione da parte dell’Ue di alcune norme secondo le quali non è più obbligatorio, ai fini della tracciabilità, riportare sull’etichetta l’indirizzo dello stabilimento di produzione. È sufficiente l’apposizione del marchio sul prodotto che identifica il responsabile legale di ciò che si vende. Non è più necessario insomma indicare chi produce e dove viene prodotto il cibo che mangiamo.

                       

                      Apriti cielo: la petizione in pochi giorni ha collezionato 29mila firme, comprese quelle di alcune grandi catene della Gdo: da Coop a Conad, Eurospin, Auchan, Simply (hanno preso l’impegno anche Esselunga e Carrefour). Netta la posizione dell’ad di Conad Francesco Pugliese che si dichiara contrario al nuovo regolamento di etichettatura Ue. E annuncia alle pagine del Sole24Ore: «Avvieremo una raccolta di firme per il ripristino dell’obbligatorietà dell’indicazione dello stabilimento di produzione sull’etichetta dei prodotti alimentari. Ciò al fine di salvaguardare l’eccellenza delle produzioni tipicamente italiane e per garantire ai consumatori una corretta informazione». Altrimenti si rischia di «delocalizzare l’eccellenza agroalimentare regionale italiana e di far perdere valore al made in Italy, dando spazio all’agropirateria internazionale che già sta causando gravi problemi alla nostra economia».

                       

                      A firmare la petizione anche aziende che per il proprio business fanno leva sulla trasparenza e sul made in Italy e che continuano a riportare l’indirizzo degli stabilimenti di produzione: da Granarolo a Callipo, a Cantine Cerquetta a Conserve Asdomar. Molte multinazionali invece hanno prontamente eliminato l’ informazione. Più difficile così garantire gli standard di qualità, favorire il lavoro in Italia, valorizzare il km 0 e la filiera corta.

                       

                      Ventinovemila firmatari in totale, quindi, chiedono che sulle confezioni torni a essere indicato l’indirizzo della sede della fabbrica in cui vengono elaborate le materie prime, informazione fondamentale per risalire al luogo in cui si svolge effettivamente la produzione. E salvare il Made in Italy anche dalla truffa dell’italian sounding. «Una multinazionale può comprare un marchio italiano e spostare la produzione in un qualsiasi paese dell’Unione. Anche altrove, senza che venga specificato. Basta che gli uffici di rappresentanza siano sul territorio nazionale», spiega l’ideatore della petizione, Raffaele Brogna, , esperto di marketing e comunicazione. Secondo il nuovo regolamento, è obbligatorio citare lo stabilimento (dal 13 dicembre 2016) solo per la produzione di latticini e carne, ma si tratta di un codice numerico che non riuscirà certo a orientare le scelte dei consumatori.