di Massimiliano Lollis
Quello delle “aste inverse” o “al doppio ribasso” è un fenomeno noto nel mondo distributivo: si tratta in sostanza di sessioni di aste online organizzate da determinate insegne della Gdo e rivolte alle aziende fornitrici, attraverso le quali le insegne si aggiudicano le referenze al prezzo più basso possibile. Il meccanismo è semplice: l’insegna organizza un’asta divisa su due turni: nel primo alle aziende partecipanti viene richiesta un’offerta di base per un determinato prodotto, mentre nel secondo l’offerta più bassa diventa essa stessa la base d’asta, rispetto alla quale si potrà solo scendere. Il risultato per molti produttori è un vero e proprio gioco al massacro, che li obbliga ad abbandonare dopo aver verificato che con quel prezzo non potranno rientrare nemmeno dai costi di produzione, figuriamoci fare margine! Per ogni azienda che rifiuta un’offerta, però, ce n’è un’altra che accetta, nella convinzione che quella potrebbe essere la sua unica occasione per rimanere sul mercato. Prendere o lasciare.
A questo tema complesso – una pratica che fu introdotta dai gruppi distributivi francesi e oggi sempre meno diffusa – ha dedicato in questi giorni un articolo la testata Internazionale, che per descrivere il fenomeno ha utilizzato l’esempio della catena Eurospin, celebre insegna del discount italiano, con un giro d’affari superiore ai 5 miliardi di euro e oltre 1.000 punti punti vendita sparsi per tutto il Paese e in Slovenia. Secondo l’articolo, nel corso di un’asta online di questo tipo – avvenuta solo “poche settimane fa” – Eurospin avrebbe chiesto ai produttori di pomodoro di presentare un’offerta di vendita per una partita di 20 milioni di bottiglie di passata da 700 grammi. Una volta raccolte le proposte nel primo turno, Eurospin avrebbe indetto una seconda asta, usando questa volta – come base di partenza – l’offerta più bassa. Alcune aziende – racconta l’articolo – si sarebbero ritirate già alla fine del primo “round”, mentre quelle rimaste in gioco sarebbero state invitate a fare una nuova offerta, sempre al ribasso, su un sito internet, trovandosi così a dover proporre in pochi minuti ulteriori tagli al prezzo base, in modo da restare in partita.
Il risultato? Secondo l’articolo, la commessa per il settore della passata di pomodoro sarebbe stata vinta da “due grandi gruppi” per un prezzo pari a 31,5 centesimi di euro per ogni bottiglia, mentre altre tre aziende si sarebbero aggiudicate un’altra commessa per una fornitura di pelati di pomodoro da 400 grammi grazie a un’offerta di 21,5 centesimi per bottiglia. Cifre poco sostenibili per la maggior parte delle aziende. Chi però ha deciso di accettare l’offerta più bassa è rimasto in gioco: in perdita, certo, ma garantendosi un fatturato elevato.
Sul “Regolamento delle aste elettroniche” di Eurospin – che come verificato da Fm, è attualmente disponibile nella sezione del sito dedicata ai fornitori – si legge: “Dal monitor d’asta online, il Fornitore potrà effettuare uno o più rilanci (a ribasso) di offerta in tempo reale con valore libero o eventualmente compreso nei limiti di rilancio minimo stabiliti da Eurospin e visibili a video”. Nulla di illegale, ovviamente. Eppure per alcuni osservatori del settore, dalle “aste inverse” al caporalato e a situazioni di sfruttamento il passo è breve.
“Troppo spesso – sottolinea il rapporto “Sfruttati” delle associazioni Oxfam Italia e Terra! (giugno 2018) – gli operatori della Gdo impongono ai produttori prezzi di acquisto delle materie prime troppo bassi, che si ripercuotono sulla vita dei braccianti. Ne è un esempio – si legge – la pratica delle aste al doppio ribasso, utilizzate da alcune catene di supermercati per assicurarsi la fornitura di prodotti al miglior prezzo possibile, scaricando tutti i costi di produzione sui primi anelli della filiera”. Un meccanismo che, per abbattere la competizione, finisce per ridurre all’osso i margini di guadagno dei produttori obbligandoli, di conseguenza, ad avvalersi in molti casi di lavoratori sottopagati e non tutelati.
Lo scorso anno il fenomeno delle aste nella Gdo era stato portato all’attenzione dell’opinione pubblica dalle campagne #FilieraSporca e #ASTEnetevi, promosse rispettivamente dalle associazioni Terra! Onlus, daSud, terrelibere.org e Terra!, Flai-CGIL, da Sud. Il movimento online aveva indotto il Mipaaf a firmare, il 28 giugno 2017, un protocollo d’intesa assieme a Federdistribuzione e Conad per una maggiore trasparenza sulla provenienza delle materie prime nei confronti dei consumatori e per abbandonare la pratica delle aste online al doppio ribasso (leggi qui). Proprio in quella occasione, i promotori del codice etico – non vincolante eppure significativo – avevano auspicato una presa di posizione da parte degli altri operatori della Gdo, senza però registrare molti consensi oltre a Coop Italia, che aveva dichiarato di non aver mai utilizzato le aste online, confermando il suo impegno per la legalità con la campagna “Buoni e Giusti”.
Questa volta, però, il clamore suscitato dall’articolo non poteva non spingere Eurospin a rilasciare una dichiarazione in merito: “Certamente – spiega l’azienda su Gdo Week – le aste online rappresentano uno strumento moderno, molto efficace per dare al consumatore quei prezzi competitivi che chiede, insieme alla qualità (…). In un mercato veloce, competitivo e fluido, che pianifica poco (al massimo a tre-cinque anni, e noi lo facciamo), le aste online possono anche mettere in difficoltà alcuni operatori, produttori o agricoltori, ma noi dobbiamo fare l’interesse del consumatore. Per questo usiamo questo approccio soprattutto per quei prodotti commodity che non hanno caratteri di innovazione e di distintività: perché c’è differenza tra i diversi pelati e noi ne teniamo conto. Le aste insomma funzionano per i prodotti base, non certo per articoli semilavorati con un loro valore aggiunto intrinseco e una qualità che i nostri clienti vogliono ritrovare sempre nei nostri punti di vendita. (…) Facciamo il nostro mestiere in un mondo che ci obbliga a correre veloci ed è sempre più competitivo… E poi il mercato a volte è cattivo e tutti si devono adeguare e trovare strade nuove, un fatto certo non semplice”.
Diverse le reazioni da parte dei protagonisti della Gdo italiana più attivi sui social. In relazione all’articolo di Internazionale, Francesco Pugliese (Ceo di Conad) scrive su Twitter che: “Quanto riportato se vero sono fatti… ma non condivido le conclusioni e l’omologazione del singolo a tutta la categoria Gdo. Conad non fa aste di nessun tipo ma la domanda che mi e vi faccio (è): forse basta non partecipare per risolvere il problema?” A Pugliese fa eco Mario Gasbarrino (Ceo di Unes) che concorda: “Da quando sono in Unes (12 anni) mai fatto un’asta! I nostri compratori devono visitare le aziende, parlare con i fornitori e guardarli negli occhi: solo così riusciamo a fare davvero gli interessi dei nostri clienti!”
Anche Giorgio Santambrogio (Ceo Gruppo VéGé) ritiene scorretta la pratica delle aste e si dice orgoglioso della filosofia “fair” portata avanti dal gruppo che rappresenta: “Se la modernità della Distribuzione si misura solo nella capacità di avere il prezzo più basso possibile (con dubbie aste, pagando (?) tasse overseas, sfruttando tutto e tutti) a scapito della dignità dell’uomo, io e Gruppo VéGé vogliamo essere annoverati tra i tradizionali”.
Infine Lidl Italia, che su nostra sollecitazione risponde in modo netto: “Da noi le aste elettroniche non si fanno”.
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