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                      Autotrasporti, Anita: “Non c’è personale”. Op Sermide: “Situazione drammatica”

                      Anita, l’Associazione del trasporto e della logistica di Confindustria, lancia l’allarme sul problema della mancanza di personale nel settore dell’autotrasporto merci e sulla mancanza di turnover fra vecchie e nuove generazioni. Nell’immediato servirebbero 5 mila camionisti, 17 mila nel prossimo biennio. “Così si rischia di non riuscire a garantire l’approvvigionamento dei beni, anche quelli di prima necessità”, chiosa il presidente di Anita Thomas Baumgartner. A fare da deterrente per i giovani che vogliono approcciarsi al mestiere ci sarebbero anche le cattive condizioni di lavoro e di salario, che alcuni conducenti definiscono “da sfruttamento”. “È una situazione davvero drammatica. Non c’è sviluppo se non c’è logistica”, dichiara Riccardo Gorzoni, direttore della OP Sermide Ortofruit, al quale abbiamo chiesto un commento sulla questione

                      Dalla Redazione

                      autotrasporti Anita

                      Autisti introvabili e sempre meno giovani italiani disposti a mettersi al volante di un tir: la mancanza di personale nel settore del trasporto delle merci è un’emergenza nazionale e oggi il problema si sta aggravando. A lanciare l’allarme è Anita, l’associazione di Confindustria che rappresenta le imprese di autotrasporto merci e logistica, che sottolinea come la ripresa economica dopo due anni di pandemia rischi ora di essere frenata dal fatto che le imprese del settore non riescono a trovare autisti per le proprie flotte. Nell’immediato ne servirebbero almeno 5 mila, una cifra che sale a quota 17 mila se proiettata nel prossimo biennio, riporta il Sole 24 Ore, in un articolo che riprende l’appello lanciato i mesi scorsi da Anita.

                      Il problema ha radici lontane e sconta anche lo scarso fascino che il mestiere di camionista esercita sulle nuove generazioni: oggi di fatto il turnover non c’è. Secondo un rapporto del sindacato tedesco Dslv, 30 mila autisti lasciano la professione ogni anno, mentre solo 2 mila nuovi addetti ottengono ogni anno una qualifica professionale da conducenti di veicoli pesanti.

                      In Italia il settore dell’autotrasporto merci sta vivendo una situazione simile. “L’aumento della domanda di trasporto che arriva dal mondo produttivo, l’esigenza di coniugare tempi di consegna sempre più stretti con il prioritario rispetto delle norme di sicurezza della circolazione, le inefficienze del sistema distributivo con insopportabili aumenti dei tempi attesa allo scarico e uno stato delle infrastrutture oggettivamente complesso, che a sua volta genera un aumento dei tempi di consegna delle merci sta creando una miscela esplosiva, amplificata dalla mancanza di autisti”, è il grido di allarme di Thomas Baumgartner, presidente di Anita, nella nota dell’associazione. “Le imprese di autotrasporto e logistica, in queste condizioni, rischiano di non riuscire a garantire l’approvvigionamento dei beni, compresi quelli di prima necessità”, prosegue Baumgartner.

                      Ma perché oggi, in Italia e nel resto d’Europa, nessuno vuole guidare un tir? Le cattive condizioni di lavoro, le lunghe distanze e le settimane – anche mesi – lontano da casa, sono alcune delle ragioni della carenza di autisti in Europa, riporta Euronews, che ha intervistato alcuni autotrasportatori. Le normative europee relative al salario adeguato o agli orari di lavoro vengono spesso violate, lasciando i conducenti vivere in situazioni che alcuni definiscono “sfruttamento”. La situazione è più difficile nel Regno Unito, che ha chiuso i battenti alla libera circolazione dei lavoratori a causa della Brexit. L’impatto ha portato a problemi di approvvigionamento alimentare nei supermercati e nelle stazioni di servizio dove i conducenti qualificati scarseggiano.

                      Per dare una prima risposta al problema, Anita chiede al Governo di mettere in atto alcuni provvedimenti a breve e medio termine. “È arrivato il momento di affrontare concretamente questa emergenza, con il rafforzamento delle politiche attive del lavoro e l’avvio di una efficace azione per qualificare persone, anche disoccupate o coinvolte in situazioni di crisi aziendali, che potrebbero essere collocate nel settore”, prosegue il presidente dell’associazione degli autotrasportatori. Inoltre Anita chiede di inserire una quota dedicata agli autisti nel decreto flussi, per favorire il reclutamento di immigrati tra le imprese dell’autotrasporto: non sarebbe la soluzione al problema, precisa l’associazione, ma fornirebbe un contributo positivo.

                      Inoltre, nell’ottica di reclutare futuri giovani camionisti, Anita propone di inserire un piano di formazione negli istituti tecnici superiori, “per allargare il bacino di potenziali interessati a intraprendere l’attività di conducente professionale, che non è più quella di venti anni fa”. Oggi infatti i veicoli di ultima generazione richiedono la conoscenza di tecnologie più alla portata delle nuove generazioni e garantiscono maggiore sicurezza e sostenibilità ambientale. Interventi nella formazione scolastica affronterebbero anche il problema dei costi elevati per conseguire le patenti superiori e la CQC (carta di qualificazione del conducente), “che sono oggi certamente un ulteriore elemento deterrente per i giovani”.

                      “La spesa per il conseguimento della patente CQC, necessaria per l’avvio della professione, e per il successivo mantenimento dei requisiti, è molto ingente e frena quindi l’approccio di molti al mestiere dell’autotrasportatore”, sottolinea Riccardo Gorzoni, direttore della OP Sermide Ortofruit, a cui abbiamo chiesto un commento sulla problematica dei trasporti. “La responsabilità di molte sanzioni è a carico del conducente del tir – prosegue -, il che rende davvero ‘sacrificale’ il ruolo dell’autostrasportatore, che si mette a disposizione delle trasferte e delle tempistiche dettate dalle ditte di trasporto e dai loro committenti. I limiti sulle ore di guida e i giorni di riposo rendono necessario il 30% di autisti in più per soddisfare le tratte e le consegne da sostenere giornalmente. Non da ultimo, l’accentramento in grossi gruppi, con conseguente dispersione dei piccoli ‘padroncini’, ha facilitato il groupage delle merci, ma ha limitato la diffusione della professione”.

                      “Ci troviamo spesso in difficoltà con il consorzio degli autotrasportatori a cui ci affidiamo per la logistica, per l’impossibilità loro di venire a ritirare i nostri carichi a causa della carenza di autisti. Ci sono i camion, ci dicono, ma non le persone che li portano in giro -. conclude Gorzoni -. È davvero una situazione drammatica. Non c’è sviluppo se non c’è logistica, e data la conformazione dell’Italia, la logistica deve contemplare anche i piccoli centri di campagna, altrimenti la merce che si produce nei contesti ‘ideali’ non trova i canali per arrivare ai clienti”.

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