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                      Caporalato, due arresti ad Argenta (Fe): sfruttati più di 80 lavoratori

                      Più di 80, secondo gli inquirenti, i braccianti costretti a lavorare chini in mezzo ai campi fino a 16 ore al giorno, 7 giorni su 7. Dieci al massimo i minuti di riposo: il tutto per 5 euro l’ora, spesso in nero. Chi si ribellava veniva picchiato anche a bastonate. Questo il quadro di sfruttamento e caporalato scoperto dai Carabinieri ad Argenta (Fe) che, nella mattina di giovedì 3 novembre, hanno eseguito due arresti dando così seguito a un’ordinanza cautelare chiesta dal pm Alberto Savino e concessa dal gip del tribunale di Ferrara

                      Dalla Redazione

                      Le indagini condotte dagli investigatori, articolate su mesi di osservazioni e pedinamenti, hanno documentato come il sistema di sfruttamento e caporalato andasse avanti senza sosta dal 2018 e come i due pachistani gestissero ogni aspetto della vita dei lavoratori, da dove dormire al cosa mangiare, sino agli eventuali contratti (quando non erano in nero) con alcune aziende agricole. A finire in carcere è un uomo di nazionalità pachistana di 57 anni (A.Z.), conosciuto dalle sue vittime come il “capo”, ai domiciliari invece è finito I.F., suo connazionale di 34 anni. Quest’ultimo, che aveva mansioni logistiche e contabili, veniva chiamato il “segretario”.

                      Secondo i riscontri della procura i due, accusati in concorso tra loro di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, aggravata dalla minaccia e dalla violenza (c.d. “Caporalato”), sono sospettati di essere i fornitori di manodopera (costituita spesso da persone in condizioni di clandestinità e impiegate senza contratto) per aziende agricole terze, “talvolta compiacenti”, sottolinea l’Arma. Secondo gli investigatori erano oltre 80 i lavoratori sfruttati, impiegati in più circostanze in diverse aziende agricole della zona e del ravennate.

                      Per garantirsi il pieno controllo sui connazionali, gli indagati mantenevano, in via esclusiva, i rapporti con gli imprenditori agricoli presso cui i lavoratori venivano impiegati, prevalentemente in nero. Nei rari casi in cui venivano formalizzati i contratti di lavoro (con l’intermediazione delle società riconducibili agli indagati), una parte della somma (pari a 5/6 euro per ogni ora di lavoro) delle spettanze versate mediante bonifico veniva riconsegnata in contanti dalle vittime ai “caporali”. Quando, invece, il pagamento avveniva totalmente in nero, l’imprenditore da un lato effettuava direttamente il versamento al lavoratore, e dall’altro consegnava ai caporali la quota per la loro mediazione, la quale erodeva, anche in questo caso, quasi la metà del trattamento economico dei lavoratori.

                      A fare il blitz nell’argentano, dove abitano i due arrestati, sono stati i carabinieri del Nucleo operativo e radiomobile della Compagnia di Portomaggiore e quelli del Gruppo tutela lavoro di Venezia e Ferrara, insieme al Nucleo investigativo di Ferrara e da personale dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro. I carabinieri hanno anche posto sequestro beni per un valore di circa 100.000 euro, vincolando sia le somme giacenti su conti correnti bancari, utilizzati da uno degli indagati e da 5 società a lui riconducibili per movimentare i proventi dell’attività illecita, sia un appartamento in precarie condizioni igienico-sanitarie, intestato alla moglie di uno dei due, a Portomaggiore, destinato ad ospitare i lavoratori. Per questi alloggi si facevano pagare un canone di locazione variabile tra i 120 e i 150 euro al mese, oltre al vitto per il quale era richiesto un importo di 95/100 euro ciascuno, il cui importo complessivo veniva trattenuto direttamente dallo stipendio.

                      I lavoratori assoldati erano costretti a lavorare nei campi fino a 16 ore al giorno, 7 giorni su 7. Solo 10 i minuti di riposo concessi, appena sufficienti per pranzare e bere. E questo per 5 o 6 euro l’ora (in nero) nel migliore dei casi, visto che i due – a quanto risulta dalla procura – si intascavano circa metà del salario dei lavoratori. Chi si ribellava veniva picchiato anche a bastonate, oppure gli veniva trattenuto lo “stipendio”, se così si può chiamare. Finito il lavoro, passavano la notte in case fatiscenti o in capannoni dismessi e affollatissimi, tanto da dover condividere un bagno in 40 o 50. I caporali avevano anche ‘indottrinato’ i lavoratori sulla versione da fornire in occasione di eventuali verifiche da parte degli ispettori del lavoro. Inoltre erano state date precise disposizioni in caso di incidente sul luogo di lavoro: l’operaio doveva essere portato al Pronto Soccorso, dove non doveva riferire le reali modalità con cui si era ferito.

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