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                      Esselunga, nella faida dei Caprotti il tragico destino di alcuni fornitori

                      le ossa dei caprotti esselunga giuseppe caprotti libro feltrinelli
                      Le ossa dei Caprotti – Una storia italiana, è il libro di Giuseppe Caprotti che racconta gli ultimi due secoli della famiglia che ha rivoluzionato le abitudini degli italiani. Proprietari terrieri in Brianza, poi industriali nel settore tessile, infine tra i fondatori con Rockefeller della prima catena di supermercati in Italia, Esselunga. Il volume parla anche dei rancori che hanno avvelenato i rapporti tra Bernardo Caprotti e i figli Giuseppe e Violetta, avuti dalla prima moglie Giorgina. Tra le pagine del libro, ci si imbatte in quella che viene definita una “lettera sconvolgente”, firmata da Salvatore Lotta, titolare negli anni Novanta della Ortofrutticola Sarda, azienda fornitrice di Esselunga che, come altre, vedrà il suo destino intrecciarsi in modo tragico con le vicende personali dei Caprotti

                      di Eugenio Felice

                      le ossa dei caprotti esselunga giuseppe caprotti libro feltrinelli

                      “Il 22 aprile 2010 ricevo una lettera di un ex fornitore di Esselunga, Salvatore Lotta, titolare in Sardegna di un’azienda agricola. Lotta, che quando ero in Esselunga non avevo mai incontrato, per diventare fornitore di prodotti con il marchio Naturama aveva effettuato ingenti investimenti”, scrive Giuseppe Caprotti, all’epoca dei fatti narrati amministratore delegato di Esselunga. “Le cose erano andate benissimo per sette anni, fino alla fine del 2003, quando Lotta aveva ormai 130 fra addetti e collaboratori e altre decine di agricoltori che, con una struttura a rete, producevano per Esselunga. Poi, nei primi giorni del 2004, aveva incontrato Paolo De Gennis – allora braccio destro di Bernardo Caprotti – che, in parole povere, gli chiese che intenzioni avesse con Esselunga […]. Se voleva salvare la sua azienda, e anzi migliorarla con un aumento di fatturato, scrive Salvatore Lotta nella sua lettera, doveva firmare delle carte e dire che due dirigenti gli avevano chiesto dei soldi”.

                      Una pedina sacrificabile

                      “I toni di Salvatore Lotta si fanno drammatici”, scrive Giuseppe Caprotti. “Mi scesero le lacrime […]. Ci pensai un istante – riporta la lettera di Lotta – e risposi così: Sta scherzando? Come potrei vivere domani con tale rimorso?”. “La sua azienda – è di nuovo Giuseppe Caprotti a scrivere – che si chiamava Ortofrutticola Sarda, produceva però soltanto per Esselunga e Lotta era obbligato a tentare un compromesso, altrimenti avrebbe dovuto mandare tutti a casa. Mi scrive di aver detto a De Gennis: “Le firmo che sono tiranni che ci tengono sulla corda e che ci chiedono sempre di più”. De Gennis però non ne vuole sapere di un’accusa così blanda, vuole di più, esige che i due vengano etichettati come ladri: “D’altronde lui sapeva dove doveva arrivare, io no! Io e la mia azienda eravamo una pedina sacrificabile”, osserva Lotta”.

                      “L’imprenditore in seguito – scrive Giuseppe Caprotti – perde una larga fetta degli ordini e lo scompenso finanziario che ne deriva travolge l’Ortofrutticola Sarda, portandola al fallimento. In quella lettera che mi manda anni dopo, nel 2010, Lotta mi dice: “Non so perché le ho scritto, una persona normale cercherebbe di dimenticare invece io non riesco, mi sono innamorato di Esselunga in quel lontano mese di novembre del 1997 e ho ancora il cuore lacerato, do la colpa di tutto a una mentalità contorta di un padre contro un figlio (cosa per me inconcepibile), sono incazzato con me stesso perché avevo accettato di avere un unico cliente, ma ormai la mia rabbia va scemando, mi dispiace per lei che non possa abbracciare suo padre […]. Forza e coraggio, per me lei è Esselunga”.

                      “Siamo stati uno strumento per le vostre vendette”

                      “Nella busta che ricevo – aggiunge Giuseppe Caprotti – c’è anche la copia di un’altra lettera, che qualche mese prima, nei giorni del Natale 2009, Lotta aveva mandato a mio padre Bernardo. C’è scritto: “Nove soci, nove famiglie, senza più casa perché verrà pignorata dalle banche […] perdita di lavoro per decine di persone, debiti con i fornitori che a loro volta chiudono […] siamo stati uno strumento per i vostri comodi, le vostre vendette. Noi avevamo investito tutto per la sua azienda, ci fidavamo e abbiamo ipotecato la nostra vita e quella dei nostri figli, mentre lei ci ha messo alla porta”.

                      “Le affermazioni di Lotta mi inquietano – scrive ancora Giuseppe Caprotti – perché confermano la mia sensazione di essere vittima di maldicenze create apposta per mettermi in cattiva luce. Salvatore Lotta confermerà questa sua ricostruzione di fronte all’autorità giudiziaria, quando nel 2014 verrà sentito come testimone nell’ambito dei procedimenti penali fra me e Bernardo. Nel verbale della sua audizione si legge tra l’altro che De Gennis “mi disse che potevo risolvere la mia situazione con Esselunga […] firmando uno scritto che mi fece vedere in copia e che avrei dovuto vergare a mano, di mio pugno, dove si diceva che i due funzionari mi avevano chiesto del denaro, quale tangente per poter continuare la mia collaborazione commerciale con l’azienda. Risposi subito che una cosa del genere non potevo farla perché era totalmente falsa e un passo del genere mi avrebbe creato seri problemi di carattere etico e morale”. Paolo De Gennis, ascoltato anche lui dagli inquirenti come persona informata dei fatti durante la stessa inchiesta della Procura di Milano, dirà di aver convocato Salvatore Lotta “per chiedergli chiarimenti” e negherà di aver sottoposto a lui o ad altri fornitori “alcun documento precompilato da sottoscrivere”.

                      Una ferita ancora aperta

                      “Esselunga era tra fine anni Novanta e inizio anni Duemila il nostro unico cliente, che servivamo con il suo marchio Naturama, per noi un grande orgoglio. Pomodori, carciofi e altri prodotti ortofrutticoli di alta qualità”, ci spiega Salvatore Lotta, che abbiamo raggiunto telefonicamente. “Dopo la visita di Paolo De Gennis e il mio rifiuto a firmare quelle carte, gli ordini di Esselunga sono stati prima sospesi per due settimane, poi grazie a un procedimento d’urgenza che abbiamo richiesto al Tribunale sono ripresi ma con volumi dimezzati e a prezzi più bassi rispetto a quelli del mercato. Intanto, prima di questa vicenda, avevamo fatto degli ingenti investimenti per ammodernare e ampliare lo stabilimento, esponendoci con le banche. Questa situazione ha portato al dissesto finanziario”.

                      L’Ortofrutticola Sarda non esiste più dal 2008. Salvatore Lotta ha avuto la forza di riprendersi, ripartendo da zero, e, come una fenice che risorge dalle ceneri, oggi è il direttore commerciale di OP Agricola Campidanese, la più importante organizzazione di produttori ortofrutticoli della Sardegna, fornitore di numerose insegne della grande distribuzione, sia in Italia che all’estero. La ferita, però, fa fatica a rimarginarsi. “Perché è dovuta succedere proprio a me questa cosa?”, si chiede ancora Salvatore Lotta. “Con l’uscita del libro mi sarei aspettato una chiamata da parte di Marina Caprotti, attuale presidente di Esselunga, per avere dei chiarimenti su quanto fosse successo. Non è ancora accaduto, ma io sono qui, a disposizione, anzi sarei felice che lei potesse ascoltarmi”.

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