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                      Esselunga versa 48 milioni al fisco dopo l’inchiesta per presunta frode fiscale

                      Esselunga ha versato all’Agenzia delle Entrate 48 milioni di euro, stessa cifra sequestrata a giugno scorso nell’ambito dell’inchiesta sui cosiddetti “serbatoi di manodopera”, che vedrebbe il colosso dei supermercati al centro di una maxi frode fiscale sull’Iva. Con il risarcimento sul fronte tributario si alleggerisce la posizione penale della catena

                      Dalla Redazione

                      Esselunga ha versato, da quanto si apprende sul web, circa 48 milioni di euro all’Agenzia delle Entrate: stessa cifra sequestrata a giugno scorso alla catena della famiglia Caprotti dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Milano, nell’ambito dell’inchiesta sui cosiddetti “serbatoi di manodopera” (leggi qui). Dalle indagini delle fiamme gialle, infatti, sarebbe emersa una presunta maxi frode fiscale sull’Iva portata avanti dal colosso dei supermercati con lo schema della cosiddetta “somministrazione illecita di manodopera”, che avrebbe comportato un “sistematico sfruttamento dei lavoratori” e “ingentissimi danni all’erario”, riporta l’Ansa.

                      Nell’indagine, coordinata dal pm Paolo Storari, sono finiti indagati Stefano Ciolli e Albino Rocca, in qualità di ex e attuale direttore finanziario. E anche la stessa società per la responsabilità amministrativa degli enti. Ora con il risarcimento sul fronte tributario si alleggerisce la posizione penale.

                      Nel provvedimento di urgenza, poi convalidato dal gip Domenico Santoro, il pm aveva parlato di un “sistema”, già emerso in altre indagini da lui istruite, attraverso il quale grandi aziende si garantiscono “tariffe altamente competitive” sul mercato “appaltando manodopera” in modo irregolare per servizi di logistica e “movimentazione merci”, si legge sempre sull’Ansa. Con i lavoratori che, anche in questo caso, secondo l’accusa, di fatto lavoravano per la grande impresa, ma sulla carta erano dipendenti di cooperative, consorzi e altre società, i cosiddetti “serbatoi di manodopera”, che nascevano e morivano in breve tempo, lasciando debiti.

                      Esselunga dal canto suo aveva già fatto sapere di attendere “con fiducia le verifiche e gli approfondimenti, nella consapevolezza di aver operato sempre nel rispetto della legalità“.

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