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                      False mele bio? La difesa del Consorzio Ortofrutticolo Padano e della Cooperativa Ortofrutticola Padana

                      BabyFruit.COP

                      La campagna stampa delle mele di Verona BabyFruit a residuo zero

                      BabyFruit Consorzio ortofrutticolo padano

                      La campagna stampa delle mele di Verona BabyFruit a residuo zero

                      A seguito ad alcuni articoli apparsi su quotidiani locali, in riferimento al rinvio a giudizio di alcune sue personalità apicali e consiglieri, il Consorzio Ortofrutticolo Padano e la Cooperativa Ortofrutticola Padana intervengono per chiarire le proprie posizioni. Confidando con fiducia nell’operato della Magistratura e certo che verrà dimostrata l’estraneità degli indagati alle ipotesi contestate, il Consorzio Ortofrutticolo Padano ritiene però doveroso salvaguardare la qualità, la correttezza e il valore del lavoro da sempre svolto, per conto di tutte le società aderenti al consorzio stesso, oltre 1.100 aziende agricole, che hanno sempre operato nel pieno rispetto delle normative vigenti costruendosi una credibilità e onorabilità evidenziata dalla storia e dallo sviluppo di questa realtà, creata in oltre vent’anni di serio e trasparente operato movimentando oltre 70mila tonnellate di prodotto all’anno.

                      Nel rispetto del ruolo della Magistratura, si ritiene quindi necessario offrire alcune informazioni di dettaglio per non generare un’immotivata preoccupazione nei clienti e nei consumatori.

                      1. Negli articoli si citano le categorie “biologico”, “convenzionali” e le definizioni “QV” e “residuo zero” senza una coerenza tecnica, soprattutto nel caso del QV entrato in essere nel 2015, quindi epoca posteriore ai fatti citati del 2014;

                      2. I presunti fatti sono stati imputati a una soltanto delle 1.100 società agricole socie;

                      3. La società agricola estera (rumena) ha potuto associarsi solo dopo aver ottemperato e certificato le procedure per produrre “biologico”;

                      4. Il trasferimento del prodotto è stato reale e certificato, con tutta la relativa documentazione della tracciabilità della merce. Non sono stati trasmessi certificati non coerenti con i prodotti conferiti e/o venduti.

                      5. Mai sono stati conferiti e venduti prodotti non coerenti con la loro definizione e certificazione.

                      6. Nel corso di tutta l’indagine non è mai stato eseguito presso il Consorzio Ortofrutticolo Padano e la Cooperativa Ortofrutticola Padana, ovvero presso gli stabilimenti dei loro clienti, alcun sequestro di mele o di altri prodotti alimentari che potessero essere sospettati come non conformi alle specifiche comunitarie, né tantomeno di prodotti anche solo potenzialmente dannosi per la salute dei consumatori.

                      7. Le aziende che hanno acquistato prodotti dal Consorzio Ortofrutticolo Padano non hanno mai rilevato la presenza di sostanze che potessero creare un danno per la salute dei consumatori o contestato la sussistenza di prodotti chimici superiori a quanto previsto per legge. Per tale ragione infatti dette aziende non hanno ritenuto necessario costituirsi parte civile.

                      Nello specifico, in relazione ai prodotti biologici e Q.V., essi richiedono la tracciabilità del prodotto e idonee certificazioni, in quanto legati alla territorialità. I prodotti QV non sono però “biologici”, definizione che richiede protocolli diversi sia per la coltivazione che il conferimento, con certificazioni differenti. Altro ancora, il “residuo zero” o baby fruit non è una versione del prodotto biologico né del prodotto convenzionale, è una produzione con residui al di sotto di quanto prevede la normativa per un prodotto convenzionale, soggetto ad un regime assolutamente specifico e differenziato di controllo e nel caso in oggetto è quanto meno azzardato presupporre che anche questo prodotto sia coinvolto.

                      Non è nemmeno ipotizzabile l’eventualità di fornire prodotti non conformi, in quanto ad ogni passaggio di merce corrisponde una analisi chimica sul prodotto che rileva qualsiasi anomalia, che comporterebbe la non utilizzazione dello stesso nel processo produttivo. Questo anche in ragione del fatto che la gran parte dei prodotti finiti vengono venduti all’estero dove insiste una particolare ancor maggiore attenzione e sensibilità nei confronti del prodotto biologico.

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