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                      Frutta nella morsa, tra consumi ai minimi storici ed espianti: l’allarme di Coldiretti

                      Nel 2022 gli italiani hanno tagliato gli acquisti di frutta, che crollano dell’8% in quantità e risultano ai minimi da inizio secolo. Lo rileva Coldiretti, che dà l’allarme guardando in particolare ai più giovani, che consumano la metà delle dosi giornaliere di F&V raccomandate dall’Oms. E se i consumi crollano, nei frutteti è allarme per gli espianti: negli ultimi 15 anni in Italia abbiamo detto addio a oltre 100 milioni di piante, dalle mele alle pere, dalle pesche alle albicocche, dall’uva da tavola alle ciliegie, passando per gli agrumi. Costi di produzione alle stelle, concorrenza sleale e barriere fitosanitarie completano la congiuntura negativa che attanaglia il settore

                      Dalla Redazione

                      Con il caro prezzi e il cambiamento climatico che ha decimato i raccolti, gli italiani hanno tagliato gli acquisti di frutta che crollano nel 2022 dell’8% in quantità rispetto allo scorso anno, ai minimi da inizio secolo. È quanto emerge dall’analisi di Coldiretti sulla base dei dati Cso Italy (leggi qui) in occasione della Giornata nazionale della frutta italiana al Villaggio della biodiversità contadina della Coldiretti a Cosenza in Calabria, la patria delle clementine di stagione.

                      “Gli italiani – sottolinea la Coldiretti – hanno ridotto del 17% le quantità di pere, del 11% le arance e l’uva da tavola, dell’ 8% le pesche, le nettarine e i kiwi e del 5% le mele. Il risultato è che con 2,8 miliardi di chili nel 2022 il consumo di frutta degli italiani è risultato poco più della metà di quello di fine secolo nel 2000, con preoccupanti effetti sulla salute dei cittadini”. Il brusco calo ha fatto scendere il consumo individuale sotto la soglia minima raccomandata dall’Oms di 400 grammi di frutta e verdure fresche per persona. “Un dato ancora più allarmante – denuncia l’associazione – se si considera che a consumare meno frutta e verdura sono soprattutto i bambini e gli adolescenti, con quantità che sono addirittura sotto la metà del fabbisogno giornaliero, aumentando così i rischi legati all’obesità e alle malattie a essa collegate”.

                      I frutti più consumati e i driver d’acquisto

                      A livello generale le mele restano il frutto nazionale più consumato, al secondo posto ci sono le arance, mentre sul podio salgono anche le clementine.
                      In controtendenza rispetto al dato generale si registra un aumento degli acquisti direttamente dal produttore e nei mercati contadini, secondo un’analisi effettuata da Fondazione Campagna Amica nella rete di vendita diretta degli agricoltori, la più grande d’Europa. A spingere le vendite della frutta locale è soprattutto la garanzia della stagionalità e della maggiore genuinità e freschezza del prodotto che, non essendo soggetto a lunghi tempi di trasporto, dura di più e conseguentemente riduce gli sprechi, rispetto soprattutto a quello proveniente dall’estero, spesso anche di minore qualità.

                      Sos espianti

                      Parallelamente al crollo die consumi di ortofrutta, Coldiretti rileva anche un’altra tendenza allarmante, ovvero quella degli espianti. Secondo i dati rilevato dall’associazione in Italia negli ultimi 15 anni abbiamo detto addio a oltre 100 milioni di piante di frutta fresca, con la scomparsa che riguarda tutte le principali produzioni, dalle mele alle pere, dalle pesche alle albicocche, dall’uva da tavola alle ciliegie, dalle arance alle clementine, mentre in controtendenza tengono solo il cedro e il bergamotto.
                      Una vera e propia “strage di piante da frutto – dice Coldiretti – che sta provocando la desertificazione dei territori nelle regioni italiane con drammatici effetti sui consumi nazionali e sul clima, l’ambiente, il paesaggio (favorendo frane e alluvioni) e la salute degli italiani”.
                      Complessivamente la superficie italiana coltivata a frutta si è ridotta a 560 mila ettari, con la perdita appunto di oltre centomila ettari rispetto a 15 anni fa. La situazione peggiore si registra sulle arance, con 16,4 milioni di alberi abbattuti, sulle pesche, dove sono scomparsi quasi 20 milioni di piante, e sull’uva, dove mancano all’appello 30,4 milioni di viti, secondo la stima Coldiretti. Pesante anche la situazione per nettarine e pere dove ne sono spariti rispettivamente 14,9 milioni e 13,8 milioni.

                      Imprese agricole in ginocchio

                      Sul settore pesano poi i rincari energetici che spingono i costi correnti per la produzione della frutta che arrivano ad aumentare del 42%, con un impatto traumatico sulle aziende agricole.  L’impennata dei costi di produzione ha colpito tutte le fasi dell’attività aziendale, rileva Coldiretti, dai carburanti per la movimentazione dei macchinari alle materie prime, dai fertilizzanti agli imballaggi. Gli incrementi non hanno risparmiato neppure la plastica per le vaschette, le retine e le buste, la carta per bollini ed etichette, il cartone ondulato e il legno per le cassette. Senza dimenticare gli effetti dei cambiamenti climatici e il moltiplicarsi degli eventi estremi con danni sui raccolti anche a causa degli insetti e dei patogeni alieni e le difficoltà di reperimento della manodopera.  A causa del surriscaldamento sono arrivati parassiti “alieni”, mai visti prima, che si sono accaniti sulle produzioni nazionali, dal cinipide galligeno che ha decimato le castagne alla Tristeza degli agrumi e molti altri come testimonia la recente la biblica invasione nel Nord Italia della “cimice marmorata asiatica”.

                      Concorrenza sleale e barriere fitosanitarie, un altro gap

                      “Ma a colpire il settore è anche la concorrenza sleale delle produzioni straniere – continua Coldiretti -, con la frutta made in Italy stretta nella morsa del protezionismo da un lato e del dumping economico e sociale dall’altro. Le pere cinesi Nashi, ad esempio, arrivano regolarmente nel nostro Paese, ma quelle italiane non possono andare in Cina perché non è stata ancora concessa l’autorizzazione fitosanitaria. E finché non è chiuso il dossier pere non si può iniziare a parlare di mele, perché i cinesi affrontano un dossier alla volta. Ma porte sbarrate anche ai kiwi in Giappone perché non è ancora completato il dossier fitosanitario aperto dal 2008, in barba all’accordo di libero scambio Jeta siglato dall’Unione Europea con il governo nipponico.
                      Alle barriere commerciali si aggiungono i danni causati dalla concorrenza sleale, con quasi 1 prodotto alimentare su 5 importato in Italia che non rispetta le normative in materia di tutela della salute e dell’ambiente o i diritti dei lavoratori vigenti nel nostro Paese, spesso spinto addirittura da agevolazioni e accordi preferenziali stipulati dall’Unione Europea. Un esempio sono le nocciole dalla Turchia, su cui pende l’accusa di sfruttamento del lavoro delle minoranze curde. Ma ci sono anche l’uva dell’Argentina e le banane del Brasile gravati da pesanti accuse del Dipartimento del lavoro Usa per utilizzo del lavoro minorile ma con i quali l’Ue ha comunque avviato l’accordo commerciale di libero scambio Mercosur.

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