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                      GDO: crescono le private label, soprattutto quelle di fascia premium

                      Le private label delle catene distributive hanno registrato complessivamente, nei primi sei mesi di quest’anno, una crescita del fatturato del 2,4%, con volumi che sono rimasti sostanzialmente invariati

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                      Interessante il fenomeno che sta riguardando la grande distribuzione: riscuotono sempre più successo i private label premium, ovvero prodotti di fascia alta privi però di marca.

                      Secondo Guido Cristini, docente di marketing all’università di Parma, la (definitiva) consacrazione del private label stava avvenendo già negli ultimi mesi del 2012. Il segnale è partito dalla cosmetica, tradizionalmente refrattaria agli acquisti di prodotti con il marchio del distributore: «Il recinto emozionale dei grandi brand si sta restringendo – dice – per dare spazio alla (pressione promozionale) del distributore, che è capace di fornire una scontistica maggiore al cliente».

                      Quello del private label in Italia si tratta però ancora di un segmento di nicchia nei consumi di massa, distanza anni-luce dai volumi del private label degli altri Paesi europei (in Gran Bretagna supera il 40%, in Francia siamo attorno al 34%).

                      Il confronto con gli altri Paesi però non regge, Francia in primis, perché hanno una diversa (e più solida) cultura distributiva (vedasi i colosso Carrefour e Auchan, ad esempio), ma è il segnale che la leva del prezzo ormai sconfigge le altre considerazioni legate alla brand awareness (la consapevolezza del marchio). Il consumatore è sempre più attirato dagli sconti e dalle promozioni.

                      Come riportato dal magazine Food, un manager Conad ha inoltre affermato che “i consumatori si fidano di più dei nostri prodotti, come qualità e prezzo, rispetto a quelli esportati da altre aziende di marca  soprattutto dopo che hanno spedito per anni all’estero formaggi, prosciutti e bottigliette di aceto balsamico “taroccati” in Giappone, Usa e anche in Europa”.

                      A questo incremento fa da contraltare una frenata dell’industria di marca che, con riferimento ai top 25 del largo consumo, nel primo semestre 2013 ha subito un calo dell’1,3% per quanto riguarda i ricavi e del 2% rispetto ai volumi.

                      Come detto più volte, va bene anche il settore dei discount, le cui vendite aumentano del 6% al netto dell’inflazione (all’interno di un trend positivo dell’1,2% dei supermercati) «questo perché gli effetti della crisi – e dell’inflazione – hanno impresso sui consumi un’accelerazione sui fenomeni di difesa del potere di acquisto da parte delle famiglie italiane», come affermato dal direttore della divisione consulenziale di SymphonyIri Group Livio Martucci.