di Eugenio Felice
La campagna 2018-19 è stata per le mele italiane forse la peggiore dal dopoguerra. Non è che le mele fossero cattive o che fossero poche, il problema è stato che in Europa se ne sono raccolte troppe e la domanda non è stata in grado di assorbire tutta l’offerta, pur a fronte di prezzi talmente bassi da non coprire i costi di produzione. Un problema che ha riguardato in particolare le varietà “tradizionali” come la Golden Delicious. Fatta questa premessa, per quanto le aspettative per la campagna appena iniziata siano invece decisamente meno negative per via della bassa produzione polacca, si può comprendere la crescente necessità da parte delle organizzazioni melicole italiane di aggredire nuovi mercati, come quello asiatico che finora è stato piuttosto trascurato.
All’edizione 2019 di Asia Fruit Logistica, nonostante i movimenti di protesta che hanno quasi fatto posticipare a dicembre la manifestazione, hanno partecipato numerosi come non mai le organizzazioni melicole del Trentino Alto Adige. Non sono arrivati a Hong Kong, come negli anni precedenti, solo i responsabili commerciali che seguono l’area che va dall’India all’Estremo Oriente, ma anche i direttori generali e i responsabili marketing. Del resto in Asia sono diventati accessibili nuovi mercati, grazie ai negoziati che hanno permesso di superare le barriere fitosanitarie. È il caso del Vietnam e di Taiwan, che per la prima volta nei prossimi mesi potranno ricevere le nostre mele, imminente pare l’apertura della Thailandia, mentre il dossier sulla Cina purtroppo rimane completamente fermo.
Uno dei sentimenti comuni in fiera è stata la frustrazione per non poter vendere mele in Cina. La Francia e la Polonia possono, l’Italia no. Una situazione assai penalizzante cui giustamente viene data la colpa ai burocrati di Roma. Le aspettative che il nuovo ministro possa sbloccare la situazione sono basse, ma la speranza è l’ultima a morire. Ma viene fatto abbastanza per servire i mercati che sono già aperti? O finora si è preferito delegare la commercializzazione in Estremo Oriente alle numerose agenzie che peraltro espongono a Hong Kong da diversi anni? E la produzione italiana è in grado di servire come si deve il mercato asiatico, in termini di varietà, pezzature, colore, confezionamento? L’ottica è ancora quella di vendere ciò che si produce o quella di produrre ciò che il mercato chiede?
Abbiamo visitato i punti vendita di alcuni gruppi distributivi di Hong Kong e abbiamo fatto una scoperta alquanto singolare: erano in vendita da CitySuper presso il centro commerciale IFC delle mele francesi via aerea del nuovo raccolto: la varietà Golden Delicious con una bella faccetta rossa e di media pezzatura a un prezzo sorprendente, 3,70 euro a pezzo, vale a dire 18,50 euro al kilo! C’erano poi le Gala a 3,80 euro a pezzo e le Granny a 2,90 euro a pezzo. Parliamo di un prezzo 10 volte superiore rispetto a quello applicato dalla grande distribuzione italiana. Certamente un lavoro di nicchia, da primizie, con i costi del trasporto via aerea, ma come mai la Francia riesce ad essere già presente con le sue mele a a Hong Kong mentre l’Italia no? Anche perché parliamo di uno dei mercati aperti, con una popolazione “concentrata” di 7,4 milioni di consumatori. Le opportunità in Asia non mancano, anzi sono sempre più ghiotte, bisogna però saperle cogliere.
Copyright: Fruitbook Magazine