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                      Il Caat perde 17 milioni e rischia il tracollo

                      Il Centro agroalimentare di Torino è il terzo mercato ortofrutticolo d’Italia ma non riesce ad ammortizzare i 100 milioni di euro investititi per realizzarlo. Il Comune, proprietario al 92%, teme un “effetto Lumiq”. Il presidente Manolino: “Potevamo chiedere un aiuto alla Città ma non era il caso”

                      Screen Shot 2014-05-06 at 12.37.01 PML’assemblea dei soci del Centro Agro Alimentare è stata convocata lunedì. Dovrà ratificare la riduzione del capitale sociale del consorzio che gestisce il mercato ortofrutticolo all’ingrosso. Il mandato gli è stato dato dalla giunta comunale, con una delibera approvata martedì scorso. Le perdite sono ingenti: 17 milioni e 861mila euro. Un’enormità. Tanto da costringere la società ad applicare le prescrizioni previste nei casi in cui le perdite arrivino a superare di un terzo il capitale versato. È quanto prevede la legge. Articolo 2446 del codice civile. I soci hanno l’obbligo di convocare l’assemblea straordinaria e di procedere all’annullamento delle azioni corrispondenti alla perdita, in questo caso ne finiranno nel tritacarte 35 milioni. Nonostante il capitale scenderà dagli attuali 52,6 milioni a 34,8 milioni, secondo gli amministratori il consorzio non sarebbe comunque in pericolo per gli anni a venire. «Il flusso di cassa positivo generato dall’attività della società consente – scrivono in maniera arzigogolata nella loro relazione – di considerare che il mantenimento della continuità aziendale possa ritenersi verificato».

                      Ma Palazzo Civico, che possiede poco meno del 92 per cento delle azioni, ha chiesto più approfondite verifiche per capire se davvero la società possa sopravvivere. Del resto è ancora ben chiara nella memoria la vicenda che ha portato all’avvio della liquidazione di VirtualLumiq, anche in quel caso considerata in un primo momento al riparo da qualunque rischio. Per stare tranquilli la giunta ha imposto alla società la produzione di «un’analisi più puntuale e dettagliata della natura delle perdite che hanno determinato la situazione economicopatrimoniale» e «l’elaborazione di un piano industriale». Anche perché la perdita ricade quasi al cento per cento sulla città. Il restante 8 per cento delle azioni è infatti suddiviso tra la Camera di Commercio, la Provincia, la Regione, i comuni di Orbassano, Grugliasco e Rivoli, l’Ascom, la Confesercenti, l’Associazione dei grossisti, il Sito e le banche Unicredit e Dexia.

                      La perdita è ingente. Si trascinava da anni, finché quest’anno il limite di un terzo è stato superato e si è dovuto intaccare il capitale sociale: quasi diciotto milioni di euro. Com’è possibile che uno dei più grandi mercati agroalimentari italiani abbia perdite così pesanti? Nulla c’entra la vendita di frutta e verdura. Del resto non è la missione del consorzio pubblico che gestisce il capannone gigante di Grugliasco. «Siamo il terzo mercato in Italia. Sul fronte della gestione e dell’attività i risultati sono molto buoni — sostiene il presidente del Caat, Giuliano Manolino — Il margine operativo lordo supera il milione di euro». Deriva dagli affitti pagati dai grossisti alla società. Il Caat non vende frutta. Offre solo gli spazi per venderla. Non è altro infatti che una società immobiliare che vive affittando i suoi «box» a chi si occupa dello smercio, 87 grossisti e 170 produttori locali. Con una particolarità: è un’immobiliare, che affitta e da questo dovrebbe ottenere dei ricavi in grado di farla stare in piedi, di cui sono soci (a volte anche amministratori) i rappresentanti di chi quell’affitto lo dovrebbe pagare. Ma non è l’unica “particolarità”: «I box che erano stati pensati come centri di attività delle società agricole, da affittare a prezzi di mercato, sono diventati più che altro dei punti di stoccaggio — fa notare un ex consulente del settore — dopo che le aziende hanno costruito, grazie ai contributi della Regione, propri magazzini autonomi fuori dal Caat». E questo ha inciso sugli affitti.

                      Così, anche se l’anno scorso ha ricavato 5,8 milioni dai canoni di locazione, una volta pagati personale e servizi, al Caat resta in mano un avanzo di poco più di un milione. Milione che non è sufficiente a ripagare quell’elefantiaco investimento di 100 milioni di euro che fu fatto a fine anni 90, quando si decise di trasferire lì i Mercati Generali da piazza Galimberti. Le quote di ammortamento di quell’investimento prevedono infatti che si rientri ogni anno di circa 1,8 milioni. Ogni anno, da più di dodici anni, si è venuta così ad accumulare una perdita di quasi 18 milioni. E l’emorragia non è destinata a fermarsi. Nemmeno adesso che si è ricorsi alla riduzione del capitale sociale.

                      Non basterà, infatti, “bruciare” quei 18 milioni. «Le cause che hanno determinato l’insorgenza delle perdite non sono state rimosse» scrivono nella loro relazione i revisori contabili del consorzio. E difficilmente lo potranno essere, a causa della «dimensione delle strutture immobiliari e degli impianti connessi», i quali «generano ammortamenti che i ricavi della gestione (gli affitti chiesti ai grossisti, ndr) non riescono a coprire integralmente». Il cda assicura «che il mantenimento della continuità aziendale possa ritenersi verificato». Se non lo fosse bisognerebbe avviare la procedura di messa in liquidazione. Ma se non fosse così? «L’unica cosa che si può fare è aspettare la fine degli ammortamenti. Sono quote alte, decise 13 anni fa — dice Manolino — Intanto abbiamo ridotto i mutui: questo consentirà di far scendere le rate». Se le perdite dovessero continuare, il Comune potrebbe essere chiamato a ricapitalizzare la società. «In teoria potevamo richiederlo già adesso — chiarisce il presidente — Ma non era il caso, sapendo le difficoltà in cui versa». Difficile che la città decida di metterci del contante. Non esiste più il pubblico che interviene per ripianare le perdite. Una via d’uscita potrebbe essere quella di vendere la palazzina degli uffici, in gran parte vuota. E, come estrema ratio, di procedere alla dismissione dell’intero Caat, vendendolo ai privati.