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                      Internazionale, inchiesta su inganno del sottocosto. Il caporale è la Gdo?

                      Internazionale gdo Q2
                      Il prestigioso settimanale diretto da Giovanni De Mauro ha pubblicato on line il 27 febbraio la prima puntata di un’inchiesta in tre parti sulla grande distribuzione organizzata. Partendo dal fenomeno dilagante del sottocosto, che “ha fatto sfumare la percezione del giusto valore di un prodotto alimentare”, si addentra nel grigio rapporto tra catene distributive e fornitori, una “partita ad armi impari”, fatta di sconti di fine anno, listing fee, contributi per nuove aperture e gabelle varie che arrivano a costare il 24 per cento del fatturato con la catena cliente. Un sistema viziato che spinge molti fornitori a cercare risparmi e scorciatoie che si ripercuotono su tutta la filiera e incentiva fenomeni come quello del caporalato

                       

                      Dalla Redazione

                       

                      Internazionale_gdo_sottocostoNel 2013 – si legge nell’articolo – l’autorità antitrust ha condotto un’indagine conoscitiva del settore della gdo, con un focus particolare proprio sul rapporto con i fornitori. Un’indagine resa necessaria, come si legge nella stessa premessa, dalle segnalazioni dei fornitori della gdo su “presunti comportamenti vessatori” e “anti-concorrenziali” delle catene di distribuzione “in fase di contrattazione delle condizioni di acquisto dei prodotti”. Nel lungo documento sono elencate tutte le pratiche che i diversi attori della gdo mettono in atto nei complicati contratti con i fornitori.

                       

                      Sono stati identificati sei tipi di “sconti” (sconti incondizionati; sconti target; altri sconti condizionati; sconti logistici; sconti finanziari; recupero marginalità) e nove tipi di “contributi” (servizi di centrale; fee di accesso del fornitore; gestione e mantenimento dell’assortimento; inserimento nuovi prodotti; esposizione preferenziale; contributi promo-pubblicitari e di co-marketing; anniversari, ricorrenze ed eventi vari; nuove aperture/cambio insegna; altri vari, come controllo qualità, cessione dati), che vengono a costare alle singole aziende fornitrici il 24,2 per cento del fatturato con la catena cliente.

                       

                      Chi ci rimette alla fine con le presunte pratiche vessatorie della gdo? Secondo uno studio condotto dalla società di consulenza londinese Europe Economics, sconti e contributi ammontano al livello europeo a una cifra fra i 30 e i 40 miliardi di euro, pari a più della metà dei sussidi che la Commissione europea garantisce agli agricoltori comunitari attraverso la politica agricola comune (Pac). In un certo senso – rilevano i giornalisti di Internazionale – il denaro pubblico alla fine non è utilizzato per innovare o migliore la qualità, ma per tenere in piedi un sistema economico iniquo, in cui il più grande mangia il più piccolo.

                       

                      Come conclude lo stesso studio, “le pratiche sleali nel commercio limitano la possibilità per i fornitori di reinvestire nelle loro imprese e creano un grado di incertezza (alcuni analisti la definiscono ‘paura’) che scoraggia impegni a lungo termine. Nel corso del tempo, questo ridurrà le possibilità di sopravvivenza di fornitori competenti e risulterà in una mancanza di innovazione e di miglioramento della qualità. Alla fine queste pratiche danneggiano il consumatore”. Si è creata una ragnatela complessa in cui è davvero difficile districarsi, una bolla estranea all’economia reale.

                       

                      “Il punto – si legge nell’articolo – è che gli acquisti sono affidati a buyer che non conoscono l’industria né i prodotti, ma sono tenuti solo a rispettare gli obiettivi di crescita. Devono portare a casa ogni anno un aumento di qualche punto percentuale dei margini di guadagno. Quindi, badano solo a quella cifra lì nell’ultima casella del contratto. Tutte le discussioni su materie prime, stato dell’agricoltura, costi industriali non li toccano minimamente. Quando ne parli con loro è come se ti esprimessi in sanscrito. Nel tempo sono stati svuotati di professionalità ed esperienza, doti non più discriminanti, in luogo di una sterile teoria figlia di logiche commercial-estorsive”.

                       

                      La gdo – spiega Sandro Castaldo, docente all’università Bocconi di Milano ed esperto di evoluzione del commercio – ha trasformato il cibo in una merce, prodotto uguale a sè stesso in tutto il mondo, e lo ha distaccato dal modo in cui viene prodotto. Questa ‘trasformazione in commodity’ ha fatto perdere al consumatore finale la percezione del reale valore dei prodotti – è la cosiddetta “trappola della merce” – e ha permesso alla grande distribuzione d’imporre prezzi più bassi ai fornitori. Ma alla fine non giova nemmeno a lei, perché ha di fatto scatenato una gara al ribasso, in cui perdono tutti”.

                       

                      La gdo vende sottocosto e impone listing fee e sconti vari ai fornitori. Questi sacrificano la qualità e tagliano il costo del lavoro, per non rimetterci. Andando giù per la filiera, c’è uno strozzamento che colpisce tutti gli anelli. Nell’immaginario collettivo, il caporale è il grande colpevole, lo sfruttatore e schiavista nei campi. Ma forse è necessario allargare lo sguardo e analizzare i meccanismi che generano il caporalato e lo sfruttamento.  (…) In questa frenetica corsa al ribasso, il caporale rischia di essere metaforicamente e indirettamente la stessa gdo, insieme a ognuno di noi, che compriamo sottocosto senza chiederci chi pagherà davvero il prezzo del nostro effimero risparmio.

                       

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