Questo contributo, si legge nell’indagine, incide oggi per circa il 40 per cento sull’insieme delle condizioni economiche trattate. I distributori cioè costringono i piccoli produttori all’acquisto di servizi che possono risultare anche inadeguati rispetto al compenso versato e ai quali di fatto condizionano la conclusione del contratto. Un quadro di rapporti complessi e conflittuali che, ribadisce l’Antitrust, “non sembra incentivare il trasferimento al consumatore dei vantaggi di costo degli acquisti”. Apparentemente l’esistenza di supercentrali che trattino con i fornitori per conto di un gran numero di rivenditori potrebbe essere un vantaggio: i prezzi si riducono, il consumatore paga meno il prodotto finale. Alla prova dei fatti però le cose non stanno così: i vantaggi ci sono, ma solo per i rivenditori. “Se le imprese che fanno parte della supercentrale acquistano congiuntamente una parte significativa dei propri prodotti e detengono un potere di mercato rilevante sui mercati a valle, esse potrebbero non avere adeguati incentivi a trasferire a valle i propri risparmi di costo”, si legge nella relazione. In altre parole, perché le imprese, in grado di fare il bello e il cattivo tempo con i fornitori, dovrebbero far risparmiare il cliente finale? In fondo in questo modo possono ampliare il loro margine di guadagno, a scapito dei produttori. L’Antitrust si riserva quindi di “valutare con attenzione i nuovi assetti di mercato” e di ricorrere a “tutti gli strumenti di intervento previsti dalla normativa attuale della concorrenza, valutando gli eventuali effetti anticompetitivi sui consumatori”. In particolare il riferimento è all’articolo 62 della legge 27 del 2012, che permette di “sanzionare condotte che rappresentano un indebito esercizio del potere contrattuale dal lato della domanda a danno dei fornitori”.