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                      Latina, bracciante picchiato per aver chiesto dispositivi anti-covid

                      Un 33enne indiano, bracciante di un’azienda orticola di Terracina (Latina), è stato licenziato, picchiato e gettato in un canale perché aveva più volte chiesto di avere in dotazione mascherine e altri dispositivi di protezione individuale per operare in sicurezza, come disposto dal governo per fronteggiare l’emergenza coronavirus. Però, i datori di lavoro non solo non hanno accolto le sue richieste ma lo hanno anche licenziato. Infine, alla domanda del bracciante di ricevere lo stipendio che gli spettava per le giornate in cui aveva già lavorato, i due lo hanno minacciato, preso a calci e pugni e gettato in un canale. Due misure cautelari sono così state emesse a carico dei titolari dell’azienda agricola specializzata nelle zucchine, padre e figlio: agli arresti domiciliari il padre e obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per il figlio

                      Dalla Redazione

                      bracciante

                      Ha richiesto ai propri datori di lavoro mascherine e guanti, dispositivi di protezione individuale obbligatori in questo periodo per poter lavorare: così è iniziata la “disavventura” di un bracciante agricolo di 33 anni di origini indiane che lavorava in un’azienda agricola in provincia di Latina che produce orticole.

                      Le indagini sono iniziate quando il 33enne si è presentato al pronto soccorso dell’ospedale di Terracina con ferite alla testa, fratture e lesioni in varie parti del corpo. L’attività investigativa del commissariato di polizia ha così accertato che il bracciante è stato aggredito dopo aver chiesto i dispositivi di protezione individuale. Dopo esser stato licenziato, il bracciante avrebbe inoltre chiesto il compenso per il lavoro svolto e a quel punto sarebbe stato minacciato, pestato e gettato in un canale di scolo.

                      I datori di lavoro sono due imprenditori agricoli di Terracina (20 km da Fondi), padre e figlio, ora indagati per estorsione, rapina e lesioni personali aggravate, nell’ambito dello sfruttamento di braccianti agricoli stranieri.

                      A finire sotto ordinanza restrittiva – emessa il 18 maggio dal giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Latina – T.F., cinquantadue anni e T.D., ventidue anni, titolari, come riporta Fanpage, di un’azienda orticola di Terracina specializzata nella produzione di ortaggi, zucchine in particolare. Gli agenti della polizia di Stato della Questura di Latina hanno così arrestato il cinquantaduenne, ora sottoposto ai domiciliari, mentre il figlio è in misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

                      Gli investigatori del commissariato distaccato della Polizia di Stato di Terracina hanno inoltre condotto delle indagini sugli altri lavoratori dell’azienda: come il bracciante 33enne, sono tutti lavoratori di origini straniera, sfruttati, costretti a lavorare anche dodici ore al giorno nei campi per 4 euro l’ora, sette giorni su sette, senza giorni di riposo. A seguito di ulteriori controlli, i poliziotti hanno scoperto come tutti questi braccianti e lavoratori agricoli vivessero in condizioni di lavoro altamente precarie e distanti dalla vigente normativa in materia di sicurezza e salute. Completamente assenti i dispositivi di protezione individuale per evitare i contagi da Covid-19.

                      Puntuale la denuncia del sindacato: “Terracina e il pontino non sono nuovi a questi episodi, lo scorso autunno siamo scesi di nuovo in piazza della Libertà a Latina dopo che un imprenditore agricolo aveva minacciato numerosi lavoratori con un fucile – ha commentato l’accaduto appresa la notizia Roberto Iovino, segretario confederale presso Cgil di Roma e del Lazio -. Serve più legalità e dignità per chi lavora nelle campagne, per questo la Legge sul caporalato deve essere applicata in tutte le sue parti. A partire dalla tutela della denuncia dei lavoratori, a maggior ragione adesso con la regolarizzazione di chi lavora in nero. Servono più controlli e soprattutto che i braccianti che denunceranno la loro condizione di irregolarità siano tutelati e non esposti ai ricatti dei caporali e degli sfruttatori”.

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