di Eugenio Felice
Rumeni, moldavi, nordafricani, extracomunitari senza permesso di soggiorno, rifugiati scappati dalla guerra in Ucraina. Indiani e pakistani. Sono queste le persone intervistate dalla reporter Chiara Proietti D’Ambra nei vigneti della Valpolicella, terra dell’Amarone, in provincia di Verona, durante la vendemmia che è tutt’ora in corso. Storie di ordinario sfruttamento: negli orari, nelle retribuzioni, nella sicurezza e nelle condizioni di lavoro. Il Nord Italia non è diverso, in questo, dal Meridione. Il servizio “Vendemmia italiana” è andato in onda giovedì 21 settembre nel popolare programma televisivo Piazzapulita condotto da Corrado Formigli. Due giorni dopo, sabato 23 settembre, usciva sul giornale locale L’Arena l’articolo “Controlli dell’Arma sul lavoro agricolo, scattano le denunce”, in cui si parla di stranieri impiegati irregolarmente nei campi, prelevati letteralmente dalla strada e privi di qualsiasi formazione professionale. Ancora una volta sotto accusa sono le cooperative di lavoro a cui si appoggiano le aziende agricole.
Nella seconda parte del servizio, le telecamere di Piazzapulita entrano in alcuni container fatiscenti adibiti a ricovero per alcuni lavoratori stranieri impiegati da un’azienda agricola di Belfiore, sempre in provincia di Verona, che si occupa di produrre ortofrutta fresca, in particolare mele e zucchine. “Questi sono i container dove vivono i braccianti, sono proprio all’interno dell’azienda, dentro c’è un odore di muffa incredibile, non si respira”, commenta la reporter Chiara Proietti D’Ambra mentre nelle immagini si vedono persone sdraiate per terra. Uno di loro dichiara di guadagnare 6 euro all’ora e di lavorare tutti i giorni. I container si trovano proprio a ridosso del magazzino dell’azienda agricola di Belfiore (Vr). Segue l’intervista a quello che viene definito “il padrone“, il titolare dell’azienda, che si difende: “Ma chi le ha detto che dormono per terra? Io gli ho dato la casa perfetta. Tu hai sbagliato a interpretare le cose”. Il servizio termina con la battuta della reporter: “Secondo me il cane che avete là ha la cuccia più bella“. Sullo sfondo, la villa dell’imprenditore agricolo.
Al di là del caso specifico, di quanto sia o meno veritiera la narrazione del servizio di Piazzapulita, non si può nascondere che ci siano situazioni di sfruttamento della manodopera nel settore agricolo, sia nel Nord Italia che nel Meridione, a più riprese descritti dagli organi di stampa, situazioni che si trasformano in concorrenza sleale nei confronti degli operatori che invece le regole le rispettano. C’è anche il nodo delle certificazioni. La grande distribuzione le pretende, le aziende si adeguano e le ottengono, pagando gli enti di certificazione. Ma chi controlla i certificatori? Come può una certificazione avere valore se i certificatori sono pagati dalle aziende che devono essere certificate? Guardiamo il caso specifico dell’azienda di Belfiore (Vr) di cui ha parlato Piazzapulita: è fornitore diretto di zucchine di un primario gruppo discount presente in tutta Italia, è aderente a una OP – Organizzazione di Produttori ed è certificato GlobalGAP GRASP, uno standard volontario internazionale che garantisce – o meglio dovrebbe garantire – le buone pratiche sociali all’interno dell’azienda agricola.
Una storia che assomiglia a quella dei coltivatori di kiwi Zespri a Latina, denunciata dall’indagine “Il sapore amaro dei kiwi“, pubblicata da Irpi Media il primo marzo scorso: paghe tra 5 e 6 euro l’ora e condizioni di lavoro da terzo mondo. Anche in questo caso le aziende agricole erano certificate GlobalGAP GRASP, quindi sulla carta i diritti dei lavoratori erano garantiti. “Sembra di guardare un brutto film, non ne verremo mai fuori – commenta un operatore del settore -. Lo scandalo sono gli enti di certificazione che rilasciano certificati alla ca##o, consentendo di fatto la concorrenza sleale di questa gente. Parte della grande distribuzione richiede GlobalGAP GRASP ma i fatti smentiscono il suo valore. Per cui la concorrenza leale non viene garantita, vincono solo i furbi, con la compiacenza delle catene distributive. Perché loro lo sanno, ma hanno la coscienza a posto avendo il certificato dei fornitori sulla scrivania”. Ma qualcosa si muove: Lidl ha fatto mettere nei magazzini dei fornitori dei cartelli con indicate le procedure con cui i lavoratori possono denunciare la violazione dei propri diritti. I campi, però, chi li controlla?
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