Dalla Redazione
Ormai è da mesi che si parla di rincari delle materie prime. Rincari che non risparmiano nessun comparto: dal ferro all’acciaio per l’edilizia che schizza al +150%, al prezzo dell’alluminio, mai così alto da 10 anni a questa parte, poi ancora zucchero e olio di palma, cereali e il gas, che vede una richiesta maggiore da parte dell’Europa a fronte di una fornitura minore da parte della Russia, con scorte europee in calo di circa il 20%, al di sotto della media stagionale.
In questo quadro il settore della carta ha subito rincari del 60% per la fibra lunga Nbsk e del 70% per la fibra corta eucalipto, toccando rispettivamente i 1.350 dollari/tonnellata e 1.150 dollari/tonnellata (dati Assocarta), il tutto nell’arco di sei mesi (da fine 2020 a giugno 2021). Rincari record anche per le quotazioni della carta e del cartone da riciclare, saliti rispettivamente del 138% e 143% in sei mesi, da ottobre 2020 a maggio 2021, a 155 e 170 euro/tonnellata. Così, chi vuole comprare materia prima da riciclare oggi la paga molto di più, vista anche la maggior richiesta di packaging in carta e cartone sul mercato europeo, da un lato per il boom dell’e-commerce, dall’altro per la maggior richiesta di packaging in carta alternativi alla plastica.
Come se non bastasse, a questo si aggiunge il costo di produzione, visto che il settore della carta è tra quelli più energivori. Infatti, il settore della produzione di carta e cartone richiede energia e – come riporta Assocarta – il prezzo del gas in Italia e in Europa è in continua ascesa dall’estate 2020 e non mostra segni di rallentamento, tanto che rispetto al minimo del 2020 il prezzo del gas è oggi nove volte superiore. Si registrano quindi anche incrementi nei costi del prodotto finito, in quanto questi fattori hanno costretto le cartiere ad aumentare i propri prezzi dal 5% al 10%.
Alcune cartiere stanno quindi pensando di fermare la produzione fino a quando il mercato del gas ritornerà a prezzi accettabili per portare avanti la produzione, come riporta il Sole 24Ore. L’energia oggi rappresenta il 30% dei costi complessivi sostenuti e quindi, anche se il fatturato tende ad aumentare vista l’ampia richiesta di carta e packaging (vale 6 miliardi in Italia il settore della carta), i margini si azzerano. Da sottolineare che il segmento più colpito è quello del tissue (carta sanitaria e per uso domestico) che vede accordi anche di sei mesi: tempi lunghi per poter prevedere il rialzo dei prezzi finali. Un po’ meno quello del packaging, che vede accordi di durata più breve (dall’uno ai tre mesi).
Come fare per quanto riguarda il costo dei packaging in ortofrutta? Una strada percorribile, secondo il direttore generale del Consorzio Bestack Claudio Dall’Agata, è quella che si svincola dal concetto di commodity per costruire valore aggiunto: “Più basso è il coinvolgimento del consumatore, più si parla di prodotti commodity, più si è stretti in ambiti troppo condizionanti da fattori esterni e indipendenti, che impattano sulle marginalità come costi delle materie prime e delle energie. Per svincolarsi da questo bisogna costruire un’offerta più articolata, cosa che vale sia per il packaging che per l’ortofrutta – commenta Claudio Dall’Agata -. Se il packaging è solo trasporto e protezione, allora la logica di scelta è il minimo costo. Se invece il packaging, oltre a questo, diventa anche garanzia di funzioni che possiamo definire “materiali” come igiene, sostenibilità, riduzione degli sprechi, politiche di marca, esposizione, efficienza dei sistemi di riciclo, ma soprattutto lavora su aspetti valoriali – che sono invece più immateriali e quindi non replicabili – come reputazione, promessa, coerenza, etica, comunità, allora ci si smarca sempre di più dagli incrementi di prezzo delle materie prime”.
“Purtroppo il costo delle materie prime non si può toccare, o meglio non si ha la forza per poterlo condizionare – prosegue Dall’Agata -. L’alternativa dunque può essere quella di costruire valore aggiunto: l’imballaggio può fare questo, può costruire valore e quindi può essere un ammortizzatore degli sbalzi dei costi dei fattori di produzione. Poi va detto che, in un contesto in cui prezzi calano e l’inflazione aumenta, non si può immaginare di vendere ortofrutta a qualsiasi prezzo, però ci sono nicchie che consentono di farlo”.
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