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                      Quando la frutta perfetta non fa bene all’agricoltura. Il report di Terra!

                      La produzione di frutta e verdura rappresenta uno dei più importanti settori dell’agricoltura europea e italiana in particolare. Eppure la prassi di commercializzare prodotti esteticamente perfetti sta mettendo in ginocchio il settore, che fatica a produrne in quantità a causa dei cambiamenti climatici che ne modificano sempre più spesso forma e dimensioni. Con il rapporto “Siamo alla frutta”, Terra! – prendendo a campione la produzione italiana di pere, kiwi, arance e mele – denuncia l’insostenibilità dei meccanismi normativi e delle pratiche della GDO, che portano nelle case dei consumatori prodotti sempre più standardizzati, e rivolge alle istituzioni e alla GDO la richiesta di intervenire con modifiche urgenti. Così, benché in questi anni la frutta “brutta ma buona” sia stata oggetto di campagne di valorizzazione creative e riuscite, l’inchiesta di Terra! vuole spostare l’attenzione dalle singole iniziative a un’azione di sistema

                      Dalla Redazione

                      frutta

                      “Il 2021 è stato dichiarato dall’Assemblea generale dell’Onu l’Anno internazionale della frutta e della verdura, con il duplice obiettivo di aumentare la consapevolezza dei consumatori sui benefici del consumo di frutta e verdura e indirizzare la politica alla riduzione delle perdite e degli sprechi di questi prodotti. Spesso si dimentica, tuttavia, quando si affronta il tema dello spreco, che a varcare la soglia del frigorifero e dei supermercati sono solo i frutti più belli, lucidi e rotondi con una parte significativa dell’enorme produzione mondiale che non può accedere al mercato del fresco, perché ogni frutto deve rispondere a standard di commercializzazione e a severe norme europee, che non tengono conto dei tempi e della variabilità della natura e, soprattutto, degli effetti della crisi climatica sul comparto”.  A metterlo nero su bianco il rapporto “Siamo alla frutta. Perché un cibo bello non è sempre buono per l’ambiente e l’agricoltura” dell’associazione ambientalista Terra! con l’obiettivo di accendere un faro sul fenomeno distorsivo, che provoca un calo del reddito degli agricoltori e “mette in ginocchio un settore”.

                      Il rapporto, scritto da Fabio Ciconte e Stefano Liberti, indaga nel dettaglio l’impatto di regole di commercializzazione e sistemi di mercato sull’agricoltura, costretta a produrre frutta sempre esteticamente perfetta per riuscire a venderla ai supermercati. Attraverso un’indagine sul campo, decine di interviste agli operatori del settore – agricoltori, organizzazioni di produttori (OP), industrie di trasformazione e operatori della grande distribuzione organizzata (GDO) – gli autori si sono soffermati su quattro frutti: le mele, le pere in Emilia-Romagna, che negli ultimi 15 anni ha visto calare le superfici di 6.000 ettari, le arance di Sicilia, coltivate oggi su appena 82.000 ettari rispetto ai 107.000 di vent’anni fa, e il kiwi, la cui produzione nazionale ha registrato dal 2014 al 2019 un calo di quasi 100.000 tonnellate, a causa di una malattia che sembra propagarsi, secondo alcuni studi, proprio per l’aumento delle temperature.

                      Con questo rapporto l’associazione rivolge alle istituzioni e alla Grande distribuzione organizzata la richiesta di intervenire con modifiche urgenti in quanto, come scrivono gli autori, la GDO, l’Unione Europea e la miopia delle istituzioni nazionali influenzano le abitudini alimentari attraverso scelte di mercato e rigide norme che causano di fatto la perdita di migliaia di ettari di terre coltivate, già affaticate dai cambiamenti climatici. Infatti, la  frutta che vediamo sugli scaffali risponde a rigidi standard e a norme europee di commercializzazione.

                      frutta

                      Dal report Terra! “Siamo alla frutta”

                      A stabilire la “selezione all’ingresso” sul mercato di frutta e verdura, con disposizioni generali e specifiche, è il Regolamento UE 543/2011, poi modificato dal 428/2019. Fino al 2008, la norma stabiliva finanche la curvatura massima di cetrioli e carote, intervenendo su 26 prodotti ortofrutticoli. Oggi vale solo per 10 di essi, tra i quali quelli analizzati nel rapporto. Se l’impianto generale del Regolamento impone che i prodotti siano interi, sani, puliti, privi di parassiti– agendo sulla tutela della salute dei consumatori e sulla commerciabilitàquello specifico agisce perfino sulla colorazione della buccia, sul calibro (il diametro) e sull’omogeneità dell’imballaggio, privilegiando l’attenzione alla forma estetica. Per differenziare i prodotti, le norme hanno introdotto le categorie merceologiche: “Extra” e “I”. Tuttavia, sottolinea il report: “La II categoria non trova quasi mai spazio nei supermercati e viene venduta nei mercati ritenuti più poveri, come i Paesi dell’Est Europa, quando non viene svenduta alle industrie di trasformazione per farne succhi di frutta. Il rischio è che gli agricoltori, per vendere a prezzi stracciati i prodotti imperfetti, decidano di lasciarli sul terreno o, nella peggiore delle ipotesi, decidano di chiudere le aziende. La seconda scelta quindi sempre più spesso diventa scarto”.

                      frutta

                      Dal report Terra! “Siamo alla frutta”

                      In questi anni, in Italia e in altri Paesi, la frutta “brutta ma buona” è stata oggetto di campagne di valorizzazione creative e spesso ben riuscite. Tuttavia, l’inchiesta di Terra! vuole spostare l’attenzione dalle singole iniziative a un’azione di sistema di cui le istituzioni e la GDO devono farsi carico: “A livello europeo è in corso la revisione delle norme sulla commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli, un’opportunità per mettere fine all’eccesso di regolamentazione che impedisce margini di manovra ai produttori, esposti alla crescente variabilità del clima. Ma anche la politica nazionale può adoperarsi per incentivare la commercializzazione di una quota maggiore di prodotti fuori calibro. Infine, la grande distribuzione dovrebbe cambiare le sue politiche di acquisto: acquistando frutta fresca con lievi imperfezioni senza abbattere i prezzi, potrebbe tamponare la crisi economica del comparto, offrire prodotti comunque di qualità ai consumatori e fare una vera operazione culturale”.

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