Dalla Redazione
Esaurita l’esuberante crescita postpandemica del 2021 e del 2022, l’economia italiana perde la spinta dei consumi che – a dispetto dell’inflazione e solo grazie al sostegno dei risparmi e del credito al consumo (dopo 11 anni tornano a calare i depositi e sale il ricorso al credito al consumo) – hanno sostenuto il Pil nella prima parte dell’anno. Nei prossimi mesi le intenzioni di spesa degli italiani fanno segnare una brusca inversione di rotta – con il 36% di italiani che intendono ridurre i consumi al netto dell’inflazione, contro solo l’11% che pensa di aumentarli – e anche i segnali che arrivano dallo scenario internazionale, dalla produzione industriale e dal mercato del lavoro fanno prevedere un Pil 2023 solo marginalmente positivo (+0,6% per i manager intervistati). Una debole intonazione positiva che si potrà protrarre anche nel 2024 – e scongiurare invece una possibile recessione – solo a patto di una manovra di bilancio equilibrata e soprattutto di compiuto utilizzo dei fondi Pnrr: la più grande iniezione di risorse nella nostra economia dagli anni Ottanta tale da impattare sul Pil per oltre 3 punti percentuali da qui al 2026. Questa la panoramica emersa dal Rapporto Coop 2023 presentato a Milano il 7 settembre.
Le prospettive sono poi appesantite dall’eccezionale crescita dell’inflazione che solo negli ultimi 2 anni ha abbattuto il potere d’acquisto in una misura pari a 6.700 euro procapite e, secondo l’80% dei manager intervistati, bisognerà aspettare almeno il 2025 prima che la crescita dei prezzi torni ai livelli pre-pandemici. A fronte di questo drammatico impoverimento, la dinamica delle retribuzioni resta ampiamente insufficiente (+2,3% su base annua nel secondo trimestre 2023) e dunque il lavoro, che sinora sembra esserci (nel 2023 sono 23,5 milioni gli occupati, mai così tanti dal 2008), è un lavoro che non paga quanto dovrebbe (il 70% degli occupati dichiara di avere necessità almeno di un’altra mensilità per condurre una vita dignitosa).
Se l’Italia è il paese del buon cibo che tutto il mondo ci invidia e l’alimentazione è una componente fondamentale dell’identità del Paese, è anche vero che molti di loro sembrano in procinto di arrendersi alla guerra contro un’inflazione che ha rincarato di oltre il 21% il costo dei beni alimentari e che non promette di arrestarsi prima dei prossimi due anni (il 72% dei manager del settore ritiene che l’inflazione alimentare non tornerà sotto il 2% prima del 2025).
I carrelli degli italiani diventano leggerissimi. -3,0% la variazione delle vendite a prezzi costanti nei primi 7 mesi dell’anno e in previsione 2024 su 2023 il 60% dei manager intervistati si aspetta un risultato in ulteriore seppur modesto calo (-0,5%). Dopo la riduzione delle quantità acquistate, con l’arrivo dell’autunno – e l’ulteriore aumento dei prezzi – gli italiani sembrano pronti a cambiare nuovamente strategia grazie ad un quotidiano impegno per contenere gli sprechi, alla rinuncia ai prodotti non strettamente necessari e a quelli a maggiore contenuto di servizio. Così la spesa diventa più frequente, l’attenzione al risparmio fa piazza pulita della fedeltà al canale di acquisto, discount e MDD sembrano ancore di salvezza; otto italiani su 10 indicano nel primo il modo per mitigare l’effetto dell’inflazione, altrettanti acquisteranno più marca del distributore a discapito della marca industriale.
In questo contesto, se è sempre più articolata l’identità alimentare della parte economicamente e culturalmente più attrezzata del Paese, nell’ultimo anno sono raddoppiati quanti – oramai 1 italiano su 5 soprattutto baby boomers e appartenenti alla lower class – dichiara di aver perso ogni riferimento identitario abbandonando anche i dettami della cultura tradizionale, delle tipicità e del territorio. Una deriva che potrà continuare nei prossimi mesi e metterà in discussione il concetto di alimentazione italiana e dieta mediterranea, a partire dal consumo di frutta e verdura: -15,2% il consumo negli ultimi due anni e per il 16% degli italiani si ridurrà ancora.
Ciò peraltro non significa che non si facciano strada, magari ancora in fasce minoritarie della popolazione, nuove tendenze a tavola. E a fronte del plant-based le cui vendite fanno registrare un +9% anno su anno, appare con evidenza la già avvenuta demonizzazione degli zuccheri (i prodotti sugar free battono tutti i free from) e i segnali in prospettiva parlano chiaro: 15% la percentuale che nei prossimi 12/18 mesi farà uso di prodotti senza o con poco zucchero. Il fitness poi arriva nel piatto e si conferma la predilezione per le proteine e per l’healthy (alimentazione sportiva, frutta secca, bevande salutistiche crescono), oltre alla volontà di contribuire con la propria dieta al miglioramento delle sorti del pianeta. Già oggi, 5,1 milioni di italiani dichiarano di alimentarsi a spreco zero, 2,8 si definiscono reducetariani e 1,4 sono i cosiddetti climatariani (ovvero coloro che usano prodotti a basso impatto C02). A farne le spese è soprattutto la carne, il 39% del campione dichiara di essere disposto a ridurne il consumo. D’altronde sulla tavola di un futuro nemmeno troppo lontano, della carne rimarrà solo il sapore: nella top 5 dei nuovi cibi che secondo gli italiani compariranno in tavola nei prossimi 10 anni figurano i prodotti a base vegetale con il sapore di carne (31%) e la carne sintetica prodotta in laboratorio (28%).
L’uragano prezzi ridisegna gli equilibri della filiera. L’eccezionale crescita dei prezzi degli ultimi due anni ha cambiato in profondità anche gli assetti della filiera alimentare. Nel 2022 l’incremento dei prezzi delle materie prime e l’impennata dei costi energetici hanno fatto esplodere i prezzi alla produzione, mentre le difficoltà della domanda finale hanno obbligato i retailer a contenere l’impatto finale sui prezzi al consumo. Con ricadute pesanti sui bilanci di entrambi gli operatori della filiera. L’analisi annuale di Mediobanca evidenzia come nel 2022, per entrambi gli attori della filiera, si sia verificata una significativa diminuzione del valore aggiunto e, a cascata, della marginalità operativa. Un impatto negativo che non cambia però il differenziale positivo delle performance a favore degli operatori industriali. In sostanza, le imprese dell’industria alimentare – e segnatamente quelle di maggiori dimensioni – evidenziano una redditività strutturalmente superiore a quella della grande distribuzione alimentare. E anche nel difficile frangente del 2022 la redditività dei mezzi propri dell’industria fa segnare una diminuzione meno pronunciata di quella della distribuzione.
Nel 2023 invece, pur a fronte di un rapido rientro sui valori storici dei costi delle commodities alimentari e di un altrettanto noto rientro dei costi energetici, non si è manifestata alcuna significativa riduzione dei listini dell’industria alimentare. Anzi, si è assistito ad ulteriori aumenti dei listini, addirittura superiori a quelli del 2022 e nello stesso periodo l’ulteriore logoramento del potere d’acquisto delle famiglie ha nuovamente impedito invece agli operatori della distribuzione di poter riversare al consumo l’intero incremento. In questo modo, la comparazione tra l’andamento dei prezzi industriali e quelli al consumo continua ad evidenziare un differenziale negativo che non ha eguali negli ultimi decenni. In sostanza, per la distribuzione i prezzi all’acquisto restano strutturalmente superiori a quelli praticati alla vendita. Anche nei prossimi anni divergeranno le strategie di industria e distribuzione. I retailer si concentreranno sulla marca privata per avere un governo delle filiere produttive e dei prezzi alla vendita, mentre la grande industria al momento sembra più orientata a difendere i margini concentrandosi sull’innovazione di prodotto e la difesa dell’equity del proprio marchio.
“Siamo di fronte a un momento davvero complesso che il Rapporto Coop rappresenta nelle sue varie articolazioni e che si ripercuote con estrema coerenza sul mercato del largo consumo; sensibile termometro della quotidianità. In sintesi, il primo giro di vite sui consumi già partito prima dell’estate sembra ulteriormente inasprirsi e si ripercuote sui volumi delle vendite– è il commento di Maura Latini, presidente Coop Italia-. Fare il mestiere che è proprio di un insieme di cooperative di consumatori ovvero tutelare il potere d’acquisto delle famiglie, coniugare prezzi e qualità dell’offerta è sempre più difficile, ma è per noi la sfida da vincere. Come Coop siamo impegnati su due fronti: recupero dell’efficienza sia all’interno delle cooperative che nelle filiere produttive a noi vicine e portare a compimento ciò che abbiamo chiamato la rivoluzione del nostro Prodotto a Marchio, garantendo con ciò la sicurezza, l’innovazione, la sostenibilità al giusto prezzo. A due anni di distanza dall’avvio del progetto con 74 categorie revisionate su 114 (quasi il 70% dell’obiettivo dato) possiamo iniziare a tirare le fila e a enunciare i primi dati positivi. Questa strategia infatti aveva già iniziato a dare buoni risultati nel 2022 e in questa prima parte del 2023 con un aumento complessivo della quota MDD all’interno di Coop facendo diventare in tanti casi il nostro prodotto a marchio leader di categoria. Il forte aumento della quota a valore e a quantità del Prodotto Coop, nei primi 8 mesi del 2023 30% a valore (+5% agosto 2023 su agosto 2021) e 34% a volume (+4,0), ha generato così il contenimento del costo del carrello della spesa.
“In tutto questo – prosegue Maura Latini – non si è ancora avviato il tavolo negoziale con l’industria di marca per l’anno 2024, del quale al momento non abbiamo ricevuto segnali. Approfitto di questa occasione per invitare tutti a assumersi le proprie responsabilità e avere un atteggiamento propositivo e improntato alla moderazione nelle richieste. I dati presenti nel Rapporto confermano i rischi che anche l’industria di marca sta correndo con un segno costantemente negativo sulle vendite oramai da tempo. Per come la vedo io, c’è la necessità di un confronto serio e costruttivo proprio per dare una risposta a larga parte della popolazione italiana in difficoltà. Ritengo possa essere un solido obiettivo comune lavorare per recuperare volumi di vendita che al momento i clienti stanno dirottando sui discount. Come Coop negli ultimi 18 mesi abbiamo trattenuto una parte importante dell’aumento dei listini industriali senza riversarli sui consumatori, ma i bilanci delle nostre cooperative ormai limitano la possibilità di impegni ulteriori se non nell’ambito di una fattiva collaborazione fra le parti, che peraltro anche le istituzioni stanno chiedendo”.
“Il Rapporto Coop 2023 disegna un Italia in difficoltà e resistente. L’inflazione erode il potere di acquisto, le diseguaglianze si accentuano, una parte della classe media è spinta verso il basso e ritiene di non avere le condizioni per una vita dignitosa. Il rischio della recessione è oggi molto più concreto e le politiche pubbliche sono incerte nel sostenere la domanda, anche per i concreti vincoli di bilancio. Il Pnrr stenta a decollare. L’occupazione va bene ma il lavoro povero, soprattutto dei giovani, ha raggiunto livelli allarmanti. Il quadro è davvero poco ottimistico – sostiene Marco Pedroni, presidente Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori-Coop)-. In Coop siamo fortemente impegnati nel sostenere il potere di acquisto dei nostri soci e consumatori e, oltre ad ampliare l’offerta di un prodotto a Marchio Coop molto conveniente e sostenibile, abbiamo attivato iniziative straordinarie di sostegno ai consumatori. Abbiamo aderito prima all’iniziativa della carta “Dedicata a te” promossa dal Masaf e ora all’invito del Governo, attraverso il Mimit, per una stagione di contrasto all’inflazione perché è nella nostra natura di cooperative che difendono le persone, soprattutto quelle più in difficoltà. Speriamo che tutte le imprese del largo consumo possano aderire. Ed è al Governo che chiediamo azioni molto concrete, non per noi ma per gli italiani: in primis di mettere più soldi nelle tasche dei lavoratori attraverso il taglio del cuneo fiscale e con la detassazione degli aumenti salariali, poi di aiutare la parte più debole del Paese non solo attraverso la social card per gli indigenti ma anche attraverso il sostegno all’introduzione del salario minimo. Con un’inflazione che erode più del 15% del potere di acquisto la metà delle famiglie è in difficoltà, la domanda interna è destinata a ridursi ed i risparmi non potranno a lungo sostenere un livello significativo dei consumi. Un grande Paese come il nostro ha il dovere di reagire. È interesse anche delle imprese, di tutte le imprese”.
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