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                      Rivoira: “Fase critica per le mele italiane. Ma il problema non è la Polonia”

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                      La stagione 2018-19 verrà ricordata come una delle peggiori degli ultimi anni, con un mercato che sta facendo fatica ad assorbire i volumi generati dal raccolto europeo record di mele del 2018. Solo la Polonia ha superato i 4,8 milioni di tonnellate. Ma i problemi, per le mele italiane, non vanno ricercati nelle produzioni in crescita dell’Est Europa. Secondo Marco Rivoira, titolare dell’omonimo gruppo frutticolo piemontese, il problema è la qualità delle mele italiane, che negli ultimi anni è costantemente scesa: “Sollecitati dalle richieste sempre più pressanti da parte della grande distribuzione, il mondo produttivo ha privilegiato l’aspetto estetico, la shelf life e la resa per ettaro, a discapito delle qualità organolettiche. Il risultato è che scendono i consumi anche sul mercato interno dove di mele polacche non se ne vendono”

                       

                      di Eugenio Felice

                       

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                      A destra il gruppo veneto Cadoro che è arrivato a vendere nel febbraio 2017 mele Golden trentine a 0,59 €/kg. A sinistra MD con le Melinda a gennaio 2019 a 0,95 €/kg (elaborazione: Fm)

                      La Polonia. Rappresenta oggi la principale minaccia sui mercati globali per la produzione italiana di mele. La manodopera qualificata e a basso costo, gli investimenti in nuove varietà, l’adozione di moderne tecnologie per la conservazione e la selezione dei frutti nelle centrali ortofrutticole, ha fatto sì che negli ultimi anni le mele polacche riducessero il gap qualitativo nei confronti delle mele made in Italy, a fronte di un prezzo di vendita decisamente inferiore. Parliamo in questa campagna di circa 45 centesimi al chilo franco partenza per prodotto confezionato di prima qualità. Raggiungono peraltro mete che sono inaccessibili alle mele italiane, come il ricco mercato cinese. Ma come ha fatto la Polonia a fare questo exploit? Facile, il Paese guidato da Mateusz Morawiecki è il primo beneficiario dei fondi strutturali europei, con 86 miliardi di euro stanziati nella programmazione 2014-2020 (leggi la notizia). Praticamente è la stessa Italia a finanziare i suoi competitor. Ingenti quantità di denaro sono state anche stanziate con i programmi IPA per i possibili nuovi entranti nell’Unione, come Turchia (4,5 miliardi di euro), Serbia (1,5 miliardi di euro) e Albania (0,65 miliardi di euro).

                       

                      Il nocciolo della questione. “Non possiamo dare sempre la colpa agli altri”, commenta Marco Rivoira, executive manager del Gruppo Rivoira, tra i principali attori italiani per il comparto mele, con sede a Verzuolo, in provincia di Cuneo. “Quella che volge alla conclusione è stata in generale una pessima campagna – taglia corto Rivoira – con un raccolto record in Europa, qualità non eccellente e prezzi alti al consumatore finale, nella prima parte della campagna, che hanno penalizzato i consumi: la stagione 2017-18 era stata scarsa nei volumi e nella qualità, i gruppi distributivi ci hanno messo mesi ad adeguare al ribasso i prezzi di vendita. Se da una parte però alcuni magazzini potrebbero non finire le giacenze di varietà standard, dall’altra ci sono varietà come Ambrosia che non hanno avuto alcun problema né a livello di prezzo né nel ritmo delle vendite. Il problema oggi – spiega Marco Rivoira – non è che si producono troppe mele, il problema è che almeno il 50 per cento delle mele che si trovano in vendita è di scarsissima qualità organolettica, non danno alcuna gratificazione a livello gustativo. Un problema che peraltro riguarda un po’ tutta l’ortofrutta”.

                       

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                      Marco Rivoira, executive manager del Gruppo Rivoira, durante Interpoma 2018 (copyright: Fm)

                      Persa la mission. “Abbiamo distrutto il comparto kiwi – continua Marco Rivoira – stiamo facendo lo stesso con il comparto mele. Abbiamo perso la nostra mission, che dovrebbe essere quella di produrre frutta buona da mangiare. La responsabilità, a mio avviso, è al 50 per cento della GDO europea, con la sua politica forsennata focalizzata su prezzi bassi, frutti belli, elevata shelf life e resistenza alle manipolazioni. Al 50 per cento è dei produttori che per rispondere a queste richieste hanno cercato dei palliativi come la raccolta anticipata e in unico stacco o l’aumento delle rese per ettaro. Ci siamo dimenticati del gusto e il consumatore si sta disaffezionando. La prova, nel nostro caso, è proprio Ambrosia, venduta al doppio del prezzo rispetto alle varietà standard, perché offriamo al consumatore un’esperienza di consumo sempre costantemente straordinaria, nel senso più letterale del termine, cioè fuori dall’ordinario. Questo grazie non solo e non tanto alla varietà in sé, che non può essere considerata un miracolo di mela, ma alla gestione in campo, perché la qualità organolettica si fa sul campo. Se quest’anno avessimo avuto 5 mila tonnellate in più di prodotto le avremmo vendute, bene, in poche settimane”.

                       

                      La lezione del vino. “Quando produci 100 tonnellate a ettaro – insiste Marco Rivoira – raccolte in un unico stacco e con 15 giorni di anticipo, anche se ti trovi in una zona particolarmente vocata, difficilmente potrai avere una mela entusiasmante dal punto di vista gustativo. Il Nord Italia come il Sud della Francia si trovano in una posizione geografica dove le mele possono raggiungere la loro massima espressione, al contrario della Polonia che invece ha solo discrete ma non ottime condizioni di produzione, penalizzata da latitudini, le stesse dello Stato di Washington, altra grande zona di produzione, che non permettono il raggiungimento di gradi Brix elevati. La melicoltura italiana può trovare la strada per uscire dalla crisi in cui è precipitata – sottolinea Rivoira – riscoprendo la sua mission, che è fare frutti buoni per il consumatore, partendo proprio dalle varietà standard come Golden Delicious, Red Delicious e Gala. Sul prezzo non potremo mai competere con l’Est Europa o il Nord Africa dove i costi sono infinitamente più bassi. Dovremmo imparare dal settore vitivinicolo, che ha dovuto raggiungere il fondo con lo scandalo del metanolo degli anni ’80 per darsi delle regole precise, come un tetto alle rese per ettaro, che lo hanno fatto rinascere per arrivare ai fasti di oggi. Perché – chiede provocatoriamente Rivoira – non si fa lo stesso in ortofrutta?”

                       

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