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                      Rame, sussidi, rese: la senatrice Cattaneo contro il biologico. “La produzione sostenibile è quella integrata”

                      bio
                      “Il biologico? Fa bene a chi lo produce”. Scriveva Elena Cattaneo, senatrice a vita, ricercatrice e docente di Farmacologia all’Università degli studi di Milano, sul settimanale D La Repubblica del 21 luglio. Ora sul Messaggero del 27 novembre è tornata a parlare di agricoltura bio e dei suoi “pesticidi”. Incriminati in particolare il rame, metallo pesante e inquinante ampiamente utilizzato in agricoltura biologica, e le rese più basse, insostenibili per una popolazione che nel 2050 è prevista in 10 miliardi di persone. Al centro c’è la sbagliata percezione dell’opinione pubblica, che confonde il biologico con il residuo zero e ignora completamente l’esistenza della produzione integrata, indicata dalla ricercatrice come la vera alternativa sostenibile

                       

                      di Eugenio Felice

                       

                       

                      Messaggero biologico articoloLa premessa. Partiamo dall’evidenza che il bio è uno dei pochi comparti che registra una crescita a livello di consumo negli ultimi anni. Secondo Nomisma, nei 12 mesi che si concludono a luglio 2018, il valore delle vendite di prodotti biologici in tutti i canali (compresa la ristorazione) è superiore a 3,5 miliardi di euro, con una crescita dell’8 per cento sui 12 mesi precedenti. I motivi di questo successo secondo Nomisma sono dovuti al fatto che il biologico risponde ad alcune esigenze molto sentite dai consumatori: l’attenzione per la salute, le qualità organolettiche e il rispetto per l’ambiente. Il principale canale di vendita è oggi la grande distribuzione (iper e supermercati) che ospita il 45 per cento degli acquisti, contro il 24 per cento dei negozi specializzati. Gli affari bio nella grande distribuzione crescono del 14 per cento nel 2018 (sono triplicati se confrontiamo le vendite con quelle del 2010), mentre nei negozi specializzati – unico segno meno del settore – calano del 3 per cento.

                       

                      La provocazione. Il 27 novembre Il Messaggero ha pubblicato e dato enfasi a un articolo dal titolo “L’agricoltura bio e i suoi pesticidi”. Chi firma l’articolo non è un giornalista qualunque, ma Elena Cattaneo, senatrice a vita dal 2013, docente alla Statale di Milano, farmacologa e biologa, nota per gli studi sulla malattia di Huntington e per le ricerche sulle cellule staminali. L’articolo in questione ci va giù piuttosto pesante, fin dal suo incipit: “L’agricoltura biologica fa uso di pesticidi. E i campi coltivati a biologico possono inquinare il terreno con un metallo pesante più tossico del glifosato. Strano, ma vero! Credo sia davvero importante squarciare quel velo di ignoranza che ci fa annuire acriticamente agli slogan “No ai pesticidi. Sì al biologico” e aderire a iniziative “contro l’agricoltura chimica” (tout court) e per “la salute della terra e dell’uomo”. Ma forse non tutti sanno che la stessa agricoltura biologica, quella del “ritorno alla natura”, di pesticidi ne fa un uso sistematico, elencandoli in appositi disciplinari”.

                       

                      Sul tema inquinamento la biologa aggiunge: “La contrapposizione tra pesticidi (o per meglio dire agrofarmaci) di sintesi e non di sintesi è vincente in termini di marketing, ma, in termini di sostenibilità, non è funzionale a evitare un maggior inquinamento. Il rame, ad esempio, uno dei più antichi, utilizzati e “naturali” pesticidi bio della storia, è un metallo pesante che inquina molto di più ed è molto più dannoso per uomini e animali di alcuni prodotti di sintesi con funzioni analoghe. Le evidenze scientifiche, infatti, ne dimostrano tossicità e persistenza nel suolo per tempi indefiniti. Il tanto demonizzato erbicida glifosato, ad esempio, ha un profilo tossicologico meno pericoloso. L’effetto del rame è anche poco mirato: la pianta da trattare deve esserne ben ricoperta, quindi ne serve di più rispetto a fitofarmaci di sintesi più specifici (…). Sia chiaro, il rame è usato anche nell’agricoltura integrata che, però, ne fa un uso più contenuto avendo a disposizione prodotti tecnologicamente più avanzati per sostituirlo. In quella biologica non esiste alternativa”.

                       

                      Altroconsumo bio

                      Altroconsumo, 09/2015

                      C’è poi la questione delle rese: “Nonostante l’uso di pesticidi, l’agricoltura biologica ha una resa molto bassa. Per mais, frumento, riso e soia, le quattro commodities che nutrono il mondo, il biologico produce fino al 50 per cento in meno. Per portare solo prodotti bio sulle nostre tavole, e realizzare così il “lieto fine” della favola del biologico, avremmo bisogno del doppio della terra da coltivare, sottraendola a foreste e praterie. Ma questo significa anche il quadruplo di emissioni di gas serra per effetto dei dissodamenti generalizzati. Quindi: l’agricoltura biologica, per cui il consumatore finale è disposto a pagare di più credendo di contribuire alla sostenibilità, usa anche pesticidi che inquinano e permangono nel terreno. Ipotizzare una massiccia conversione delle terre a biologico, per aumentare l’attuale 15,4 per cento delle superfici coltivate in Italia, comporterebbe un consumo di suolo enormemente maggiore per avere rese paragonabili alle attuali”.

                       

                      La conclusione. Elena Cattaneo chiude l’articolo sul Messaggero con quella che pare essere oggi, almeno per gli addetti ai lavori, una sacrosanta verità: “L’alternativa c’è ed è già “in campo”: è l’agricoltura integrata, degli imprenditori che innovano, che integra tutti gli strumenti di protezione delle colture (agronomici, fisici, biologici, chimici) secondo uno schema razionale per produrre quanto più possibile con le risorse disponibili usate nel modo più efficiente possibile. Un approccio tanto ragionevole e razionale da sembrare, di questi tempi, un’eresia”. La ricercatrice, nel precedente articolo pubblicato da D La Repubblica il 21 luglio aveva anche parlato dell’indagine di Altroconsumo pubblicata nel settembre 2015: “Il concetto stesso di biologico nulla ha a che fare con la qualità in sé dei prodotti (proposta come superiore) o con il presunto maggiore valore nutritivo”.

                       

                      Le reazioni. Non si sono fatte attendere (leggi qui). Sintetizzando, Maria Grazia Mammuccini di FederBio, ha risposto alla senatrice a vita sostenendo che: “È il mercato che sta facendo crescere il biologico non sono certo i fondi pubblici. I cittadini sostengono una domanda crescente di cibo biologico sia a tutela della propria salute sia nella consapevolezza di scegliere un’agricoltura rispettosa dell’ambiente. Il biologico è l’innovazione più avanzata in questo momento (…)”. Sul rame e il glifosato l’esponente di Federbio aggiunge che: “Affermare che il biologico inquini più dell’agricoltura chimica e che il rame sia più pericoloso del glifosato significa contraddire i dati scientifici che ci dicono tutt’altro. L’esempio del rame è assolutamente strumentale. Esistono centinaia di sostanze chimiche che vengono usate nel convenzionale”. Infine sulle rese per ettaro: “A seguito dei più recenti studi internazionali è oramai conoscenza comune che produciamo più cibo di quello che consumiamo, circa un terzo ne viene sprecato, e che i veri problemi riguardano la distribuzione e l’accesso”.

                       

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