Dalla Redazione
Sicilia terra di agrumi? Forse in un futuro non troppo lontano, fatto di cambiamenti climatici e di nuove tendenze di consumo, la soleggiata isola del Sud Italia sarà conosciuta come la regione top per la frutta esotica. Il boom di coltivazioni come mango, avocado e banane in Sicilia è infatti un fenomeno in atto già da qualche tempo. Secondo quanto emerge dal primo studio Coldiretti “I tropicali italiani”, presentato di recente in occasione dell’apertura del Villaggio contadino della Coldiretti a Milano al Castello Sforzesco, negli areali siciliani gli agricoltori si sono avventurati negli ultimi anni anche in coltivazioni esotiche di nicchia come lo zapote nero (frutto simile al cachi, di origine messicana), la sapodilla (una bacca dello Yucatàn, il cui lattice è utilizzato per produrre chewing gum), o ancora il litchi (il piccolo frutto cinese che ricorda l’uva moscato) o il frutto della passione.
Nel giro di cinque anni, la coltivazione di frutti tropicali e subtropicali in Sicilia è passata da pochi ettari a oltre 500 ettari, 60 volte tanto a discapito delle colture di agrumi di bassa qualità, come riporta Coldiretti. Il terreno coltivato ad arance in Sicilia è diminuito del 31% solo negli ultimi 15 anni, quello per i mandarini del 18%. Ma la situazione peggiore riguarda i limoni che sprofondano del 50%. Al contrario, è avanzata la richiesta di agrumi certificati e di qualità come l’arancia rossa di Sicilia Igp – si legge in un articolo correlato pubblicato sull’inserto Economia del Corriere della Sera lunedì 15 luglio – coltivata nelle province di Enna, Catania e Siracusa. Parallelamente, le coltivazioni di avocado e mango, di diverse varietà, stanno prendendo sempre più piede nel messinese fino ad Acireale, terreni in tempo destinati alla produzione di arancia bionda e limone.
Tornando al boom della frutta tropicale Made in Italy, la Calabria è la seconda regione dove il fenomeno sta prendendo piede in modo importante. Alle coltivazioni di mango, avocado e frutto della passione in territorio calabrese si aggiungono quelle di prodotti come la melanzana thay (variante thailandese della nostra melanzana), la macadamia (frutta secca a metà tra mandorla e nocciola) e addirittura la canna da zucchero, mentre l’annona, altro frutto tipico dei paesi del Sudamerica è ormai diffuso da tempo lungo le coste della regione, tanto da essere usato anche per produrre marmellata.
Un segmento di mercato, quello della frutta tropicale, che sta crescendo vertiginosamente considerato che oltre sei italiani su 10 (61%) acquisterebbero banane, manghi, avocado italiani se li avessero a disposizione invece di quelli stranieri, secondo un sondaggio Coldiretti diffuso per l’occasione. Il 71% dei cittadini sarebbe inoltre disposto a pagare di più per avere la garanzia dell’origine nazionale dei tropicali. Una scelta motivata dal maggiore grado freschezza ma anche dal fatto che l’Italia, precisa la Coldiretti, è al vertice della sicurezza alimentare mondiale con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari (0,8%), quota inferiore di 1,6 volte alla media dell’Unione Europea (1,3%) e ben 7 volte a quella dei Paesi extracomunitari (5,5%).
“Il fenomeno della frutta esotica italiana, spinto dall’impegno di tanti giovani agricoltori, è un esempio della capacità di innovazione delle imprese agricole italiane nel settore ortofrutticolo che troppo spesso viene però ostacolata da un ritardo organizzativo, infrastrutturale e diplomatico che ha impedito all’Italia di agganciare la ripresa della domanda all’estero, con un crollo nell’ortofrutta fresca esportata nel 2018 dell’11% in quantità e del 7% in valore, rispetto all’anno precedente”, dichiara il presidente di Coldiretti Ettore Prandini sottolineando l’esigenza di garantire “trasporti efficienti sulla linea ferroviaria e snodi aeroportuali per le merci che ci permettano di portare i nostri prodotti rapidamente da nord a sud del Paese e poi in ogni angolo d’Europa e del mondo”.
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