Dalla Redazione
Basta guardare il grafico delle azioni Whole Foods Market quotate al Nasdaq per capire che gli ultimi anni non sono stati particolarmente positivi per l’insegna più alla moda negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Da ottobre 2014 a oggi, quindi in 18 mesi, sono scese da 65 a 30 dollari, registrando un -50 e passa per cento (vedi grafico). Per reagire alla congiuntura sfavorevole i vertici di Whole Foods hanno quindi pensato di abbassare il tiro per intercettare una clientela meno esigente (e meno danarosa). Così nel 2015 è stata annunciata l’apertura di 365, una versione snellita e meno emozionale dell’originale, aperta dalle 8 alle 22, dove tra scaffali, salad bar e banchi frigo gli affezionati della catena trovano l’ormai famoso biologico certificato, così come i prodotti secchi e lo scatolame con il marchio della casa e un ampio reparto food&beveradge.
Il nuovo format riuscirà a condizionare il mondo della distribuzione così come Whole Foods ha fatto durante gli anni Novanta e Duemila? Sono in molti a chiederselo. Le prime impressioni degli analisti sono negative: secondo Forbes ad esempio c’è il rischio concreto di “svalutare” il brand Whole Foods. Come se Esselunga facesse il format low cost: tanto vale andare a spendere meno se alla fine trovo più o meno gli stessi prodotti con le stesse garanzie. È vero, ci sono le distanze, ma il successo non è scontato per quello che fino a pochi anni fa è stato considerato il “golden child” del food retail, capace di offrire incredibile esperienze di acquisto e di fare vera innovazione. Low cost non è da confondere con low size, soprattutto perché ci troviamo negli States: lo store di Silver Lake occupa 2.700 metri quadrati, da noi in Italia sarebbe quindi un medio superstore, due volte e mezzo un discount.
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