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                      Agrofarmaci, genetica, hi-tech: il futuro dell’agricoltura secondo Bayer

                      L’agricoltura del futuro e le sue opportunità sono al centro di Agrievolution, roadshow di Bayer giunto alla sua tappa veronese lo scorso 18 giugno. All’evento – ospitato dall’Università degli Studi di Verona – hanno partecipato accademici ed esperti, accomunati dall’intenzione di tracciare gli scenari e le prospettive future di un mondo antichissimo e troppo spesso incompreso. Tra i vari interventi spicca quello del giornalista Antonio Pascale, che lancia una provocazione contro il mondo mitizzato e probabilmente mai esistito del “cibo di una volta”. “Oggi – afferma – sono in molti a rimpiangere l’agricoltura di un tempo, convinti che quello fosse un mondo genuino e incontaminato. Dimenticano però la fame, le carestie e le malattie che hanno caratterizzato la nostra storia per millenni. Siamo sicuri – chiede – che il vecchio sia sempre meglio? Voi tra un dentista di oggi e uno di 40 anni fa quale scegliereste?”

                      di Massimiliano Lollis

                      Agrievolution

                      L’agricoltura del futuro è stata la protagonista dell’appuntamento veronese di Agrievolution, il roadshow organizzato da Bayer per discutere delle opportunità che il settore agricolo ha davanti a sé. All’evento, che si è tenuto all’Università di Verona lo scorso 17 giugno, moderato dalla giornalista Chiara Albicocco, hanno partecipato alcuni esperti – diversi per storia professionale e campo di specializzazione – per cercare di tracciare i confini del futuro dell’agricoltura offrendo ai presenti spunti di interesse e confronto.

                      Dopo gli onori di casa da parte di Monica Poggio e Remy Courbon – rispettivamente Ceo di Bayer Italia e Ceo di Bayer Crop Science Italia – che sottolineano come il gruppo sia aperto a recepire e accogliere il punto di vista di ricercatori e stakeholder su una varietà di temi riguardanti il futuro dell’agricoltura, dagli agrofarmaci alla genetica – è Antonio Pascale, scrittore e ispettore del Ministero per le Politiche Agricole, a proporre e analizzare il tema dell’evoluzione storica del mondo agricolo. Un’evoluzione difficile, attraversata da carestie e malattie, e – soprattuto – fame. Oggi, spiega Pascale, sembra che la gente abbia conservato solo il lato romantico del passato, dimenticando quanto lo spettro della fame sia stato invece una presenza costante e tutt’altro che piacevole nella vita quotidiana dei nostri antenati, dalle origini dell’uomo fino ad arrivare ai nostri nonni. “Con i miei amici – racconta – condividiamo gli obiettivi dell’agricoltura, che dovrebbe essere buona, saporita, sana: su questo siamo tutti d’accordo. Non condividiamo però gli strumenti: i miei amici sono convinti che quelli dell’agricoltura tradizionale fossero per forza genuini e migliori rispetto a quelli utilizzati oggi. Ma siamo davvero sicuri che fosse così? Voi tra un dentista di oggi e uno di 40 anni fa quale scegliereste?”

                      La provocazione di Pascale intende mettere in luce le contraddizioni di un pensiero che oggi pare dominante. Ma basta analizzare la storia per accorgersi che nel corso di circa diecimila anni di storia – fino a circa metà Novecento – il mondo agricolo è rimasto fermo. Era il mondo di Pinocchio: “Se guardiamo alla storia, – racconta Pascale – abbiamo solo due poli: Pinocchio e MasterChef. Quello del passato è il mondo di Pinocchio, il grande romanzo che tutti conosciamo, dove la parola di fondo è fame. Pensate che solamente 20 anni dopo l’unità d’Italia, un italiano su due era ancora affamato. Oggi invece siamo nell’epoca di MasterChef: si fanno i format televisivi sul cibo perché ce n’è in abbondanza, possiamo fare programmi e ricette, se ne parla continuamente. Ma ricordiamoci che in migliaia di anni di storia, solo gli ultimi 60 anni sono stati il paese dell’abbondanza. Per molti secoli l’aspettativa media di vita è stata molto bassa, oggi è di 85 anni. Siete ancora sicuri di preferire il passato?”.

                      “Mio nonno – continua Pascale – nato nel 1899, era un vero contadino bio. Era davvero km zero, tanto che non usciva neanche dal suo piccolo orto. Eppure patì la fame, sempre. Fu il 900 ad essere – nonostante guerre e disastri indicibili – un secolo di svolta, perfino meraviglioso per quanto riguarda la produzione agricola. Abbiamo sconfitto la fame, la carestia e la malattia. Grazie all’innovazione tecnologica siamo entrati nel secolo di MasterChef. Oggi – sottolinea Pascale – con una popolazione mondiale in grande crescita, non possiamo pensare di continuare ad utilizzare i metodi vecchi. L’innovazione, così come la conoscenza – spiega – oggi è un bene collettivo, è con la squadra che si vince. Siamo qui per inventarci qualcosa di diverso, perché servono nuovi strumenti”.

                      Agrievolution

                      Un momento della tappa veronese di Agrievolution di Bayer, lo scorso 17 giugno (Foto: Fruitbook Magazine)

                      Dopo l’accorato intervento di Pascale è il turno di Chiara Toninelli, presidente del comitato scientifico Fondazione Umberto Veronesi e professoressa di genetica all’Università degli Studi di Milano. “Nel 2050 – esordisce – saremo in 10 miliardi nel mondo. Non possiamo aumentare le superfici, dobbiamo diminuire gli sprechi. Oggi le piante possono soffrire molto – per ragioni di stress ambientale, o per attacchi patogeni, che comportano mediamente fino al 30% di perdite”. Ma la genetica e le tecniche di genome-editing – da non confondere con gli Ogm, essendo il primo un procedimento meno invasivo rispetto al secondo – possono davvero migliorare il futuro dell’agricoltura: “Se riusciamo a costruire piante forti e vigorose per resistere più a lungo – spiega – la produzione aumenta. Se capiamo quali sono i geni chiave da modificare leggermente, possiamo influire sulla pianta. Per esempio, basta disattivare un gene per fare in modo che in una pianta gli stomi si chiudano di più, facendo traspirare meno acqua, e rendendo quindi la pianta meno sprecona. La pianta in questo modo riesce a sopravvivere per un tempo maggiore senza irrigazione. Se conosciamo il meccanismo molecolare di una pianta – sottolinea – basta cambiare due mattoncini per raggiungere questo risultato, e oggi abbiamo le tecnologie necessarie per farlo”. Inevitabile il riferimento all’attualità, e al dibattito sugli Ogm: “Se Ogm e genome-editing venissero equiparati a livello europeo – spiega – la ricerca Ue si fermerebbe: gli agricoltori non avrebbero varietà innovative, potrebbero coltivare solo quello che già hanno, e continueremo ad importare Ogm come già facciamo con soia e mais”.

                      La risposta è quindi da ricercare nel campo dell’innovazione. Per Roberto Confalonieri, professore di agronomia e sistemi culturali all’Università di Milano e fondatore e responsabile di Cassandra lab, per la prima volta esiste un vero mercato per il digitale in agricoltura, grazie ad un’offerta finalmente matura o che sta maturando, e nuovi prodotti a supporto dei produttori. “Dovendo fare i conti con margini più ridotti – spiega -, oggi i coltivatori sono più aperti verso l’innovazione, più ricettivi. Così la loro diffidenza nei confronti della tecnologia sta sparendo, almeno questa è la mia percezione”.

                      Oggi le applicazioni disponibili sul mercato possono offrire un grande aiuto ai coltivatori: per esempio esistono tecnologie che permettono di simulare lo sviluppo delle piante per studiare il modo in cui queste interagiscono con i patogeni. “Oggi – spiega Confalonieri – è possibile sviluppare sistemi per prevedere il rischio di infezione, sistemi che possono allertare il coltivatore su un rischio che potrebbe presentarsi dopo appena quattro giorni, e agire con il trattamento più adeguato”. Non solo: “Sensori smartphone – spiega – come un accelerometro possono essere utilizzati per prendere misure in campo, acquisire l’immagine e stimare l’indice di densità della chioma della pianta: in due aziende agricole abbiamo realizzato un sistema che dice quando effettuare un trattamento fungicida e quanto prodotto usare, per utilizzarne il meno possibile”. Infine un riferimento all’intelligenza artificiale, una tecnologia che Confalonieri giudica ancora acerba per il momento: “A differenza dell’intelligenza umana, che grazie all’intuizione è in grado di interpretare pochi dati e capire, quella artificiale ha bisogno di moltissimi dati per imparare: non capisce cosa sta facendo, ma interpreta i dati. Il potenziale è enorme, ma siamo ancora all’inizio. Prima – sottolinea Confalonieri – credo sia meglio portare nelle aziende le tecnologie già mature”.

                      L’evento Bayer è stato anche un’occasione per mettere in luce i risultati ottenuti dal Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona, che assieme ad altri quattro dipartimenti dell’ateneo è stato incluso dall’ANVUR (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) nella lista dei 180 Dipartimenti italiani di eccellenza in quanto a ricerca e progettualità scientifica, organizzativa e didattica, oltre che nell’ambito dell’innovazione. Un riconoscimento che garantisce all’ateneo veronese oltre 36 milioni di euro in 5 anni. “Il nostro dipartimento – spiega Annalisa Polverari, direttrice vicaria del dipartimento – ha vinto il certificato di eccellenza con un progetto di sviluppo nell’ambito della chimica verde. L’intenzione del progetto è quella di ridurre l’impatto della chimica in vari ambiti, non solo in quello agricolo. Tutti i problemi della tecnologia – conclude la docente, con una nota che esprime bene il senso della giornata – si superano con più tecnologia e ricerca, e non tornando al passato”.

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