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                      Caro materie prime, soffre il food. Dito puntato sulla Gdo

                      Young person with protective face mask buying groceries/supplies in the supermarket.Preparation for a pandemic quarantine due to coronavirus covid-19 outbreak.Choosing nonperishable food essentials

                      Lo tsunami generato dal caro materie prime e logistica pesa fortemente sull’industria del food&beverage, schiacciata dietro a costi che stanno diventando insostenibili. “Se non si aumentano i prezzi a scaffale molte aziende rischiano di fallire” è l’allarme di Federalimentare, che punta il dito contro la Gdo, accusata di non riconosce alle imprese i maggiori costi di produzione legati a materie prime ed energia. Dal canto suo la grande distribuzione, di concerto con l’industria dei beni di consumo, chiede al Governo un tavolo di filiera per individuare interventi idonei a mitigare l’effetto dei rincari. E i consumatori? Non se la passano meglio le famiglie italiane, che in realtà già da questo autunno stanno vedendo la prima stangata nel carrello della spesa. Per il comparto frutta e verdura si parla di aumenti del 2,7%

                      Dalla Redazione

                      caro materie prime spesa

                      “L’aumento dei prezzi delle materie prime che avevamo denunciato mesi fa è oggi uno dei problemi principali anche per l’industria alimentare. Per questo è necessario tutelare le nostre aziende. Vale a dire che l’aumento dei prezzi dei prodotti del food&beverage che si verificherà a breve sarà inevitabile, pena la chiusura di tante nostre imprese”. A lanciare l’allarme sullo tsunami prezzi materie prime e sulle ripercussioni che questi rincari hanno sulla filiera è Ivano Vacondio, presidente di Federalimentare, che lancia un appello drastico: o si fa pagare di più i consumatori, oppure molte aziende non riusciranno più a gestire i costi divenuti insostenibili. “La situazione è diventata insostenibile – prosegue Vacondio -, questa mancanza di offerta della materia prima non credo sia una bolla, non terminerà a breve e non è dovuta solo alla troppa richiesta ma soprattutto alla mancanza di offerta, unita anche a uno smisurato aumento di costo di tutte le materie prime, degli imballaggi, del caro noli e del caro container che penalizzano il nostro settore”.

                      Il dito è puntato soprattutto sulla Gdo: la compressione dei prezzi sul mercato interno operata dalla grande distribuzione, a insufficiente e tardivo riconoscimento dei maggiori costi di produzione legati a materie prime ed energia, contribuisce – sostiene Federalimentare in una nota – a delineare un trend dei margini di contribuzione del settore insoddisfacente e pericolosamente in declino.

                      Il rischio, secondo l’associazione, è quello di prosciugare del tutto i vantaggi connessi alla fase di ripartenza ed espansione del Pil e dei mercati. “Ognuno deve fare la sua parte: gli attori della filiera in primis – conclude il presidente di Federalimentare -. È inoltre auspicabile che si intervenga per contenere la speculazione della finanza in un settore, come quello del food, così eticamente delicato”.

                      Che il problema sia di portata strutturale, però, lo conferma la richiesta che viene dal mondo della Gdo, anch’esso in allarme. Insieme all’industria dei beni di consumo, la grande distribuzione chiede al Governo un tavolo di filiera per individuare forme concrete d’intervento idonee a mitigare l’effetto dei rincari. Promotori della proposta di confronto, come riporta Askanews, sono stati i presidenti di Centromarca e IBC – Associazione Industrie Beni di Consumo (per la parte industriale) e di ANCC-Coop, ANCD-Conad e Federdistribuzione, riunite in ADM – Associazione della Distribuzione Moderna (per la parte distributiva).

                      Se lato produzione e distribuzione la preoccupazione è dunque alta, i consumatori dal canto loro hanno già visto gli effetti dei primi rincari nel carrello della spesa. L’impennata dei prezzi al consumo, innescata dal caro energia e dall’aumento del costo delle materie prime in generale, secondo il Codacons rischia di costare in autunno alle famiglie italiane 1.500 euro di maggiori spese. Per toccare con mano lo spread del carrello della spesa basta guardare i cartellini dei prezzi al supermercato. Ad esempio la zucca, simbolo di Halloween: oggi viene in media 2 euro al chilo, circa il 25% in più rispetto a un anno fa, secondo le rilevazioni di Italmercati. Crescono anche i prezzi di tutti i beni di prima necessità, dal pane al latte. Guardando di nuovo al reparto ortofrutta, prendiamo come altro esempio le patate: un chilo oggi costa in media 1,20 euro (+30%). 

                      A meno di un’inversione di rotta, entro Natale si preannuncia quindi una stangata colossale, con una maggiore spesa per l’acquisto di generi alimentari pari a 100 milioni di euro. Ecco come aumenterà la spesa degli italiani secondo il Codacons: previsti aumenti del 10% su pasta, pane, pandori, panettoni e dolci lievitati, del 2,5% su pesce, carni e salumi, del’1,5555% su spumante e vino, e del 2,7% su ortaggi, frutta fresca e secca.

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