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                      Cibi ‘ultra lavorati’ e cancro: studio della Sorbona rilancia l’ipotesi di un legame

                      Un team di ricercatori dell’Università di Parigi ha studiato per cinque anni le abitudini alimentari di un campione di oltre 100 mila francesi, mettendo sotto la lente alcuni cibi “incriminati” di avere una correlazione con l’insorgere di tumori. Si tratta di prodotti confezionati e ultra lavorati, che vanno dagli snack salati ai dolciumi, dai prodotti da forno confezionati ai surgelati, dalle bevande zuccherate alle salse e i grassi, fino anche alla frutta, i legumi e la carne trattati con conservanti e additivi. Aumentando del 10% il consumo di questi cibi si ha un 12% in più di possibilità di essere colpiti dal cancro. Le critiche sui media non si contano: l’analisi, si dice, sarebbe troppo approssimativa. Ha detto la sua sull’argomento anche Giuseppe Caprotti, figlio del patron di Esselunga e consulente in ambito food e retail

                       

                      Dalla Redazione

                       

                      Consumare troppo cibo confezionato aumenterebbe il rischio di contrarre il cancro, specie se per cibi confezionati intendiamo i cosiddetti junk food. Lo dice una nuova ricerca realizzata dalla Sorbona su un campione di oltre 100 mila cittadini francesi, i cui risultati sono stati pubblicati sul British Medical Journal. Il team di ricercatori dell’Università di Parigi, nello specifico, ha messo sotto la lente di ingrandimento gli alimenti definiti “ultra lavorati”: i prodotti zuccherati, come le barrette di cioccolato, o le paste e le creme spalmabili, rappresentano il 26% dei consumi di prodotti “incriminati”. Poi ci sono le bevande zuccherate, che rappresentano il 20% dei consumi; i farinacei, con cereali e prodotti da forno confezionati (16% dei consumi); la frutta e i legumi ultra trasformati (15% dei consumi); la carne, il pesce e le uova trasformate (7% dei consumi), i derivati del latte come lo yogurt con la frutta (7% dei consumi); altri derivati di carne come polpette, crocchette, nuggets e salumi con additivi (5% dei consumi); salse e grassi (es. margarina) (2% dei consumi) e infine gli snack salati (2% dei consumi). I risultati – da interpretare con la dovuta cautela – suggerirebbero una possibile connessione tra questi cibi e l’insorgere di tumori.

                       

                      Come si è svolta nei dettagli la ricerca? Il team dell’Università di Parigi ha reclutato 104.980 persone, di età media intorno ai 43 anni, ai quali è stato chiesto di tenere una nota giornaliera di quello che mangiavano nelle 24 ore, utilizzando registri online che catalogavano 3.300 diversi alimenti. I soggetti sono stati seguiti per cinque anni. In media, il 18% del campione ha consumato cibi “ultra-lavorati”, come riporta anche un articolo sul Corriere della Sera. I risultati, pubblicati appunto sul British Medical Journal, dicono che un aumento del 10% nel consumo giornaliero di alimenti ultra-elaborati è correlato a un aumento del 12% nel rischio complessivo di contrarre un tumore e dell’11% nel rischio di cancro al seno.

                       

                      I cibi ultra lavorati nel grafico sul British Medical Journal

                      Si tratta, come detto sopra, di conclusioni da prendere con le molle: gli tessi ricercatori specificano in una nota che “sono necessari ulteriori studi per comprendere meglio l’effetto relativo delle diverse dimensioni della lavorazione (composizione nutrizionale, additivi alimentari, materiali di contatto e contaminanti neoformati)” per avere un quadro più preciso.

                       

                      Lo studio, pubblicato a metà febbraio, ha subito sollevato critiche sul web e sui media. La Bbc sottolinea che si tratta solo di un “segnale di avvertimento” e che non è possibile concludere con certezza che gli alimenti ultra-lavorati siano causa diretta di tumori. La professoressa Linda Bauld, esperta di prevenzione del Cancer Research UK, ha fatto notare in un’intervista con l’emittente televisiva britannica come sia cosa già nota che molti di questi alimenti possono portare ad un aumento di peso. “E il sovrappeso o l’obesità possono anche aumentare il rischio di cancro, quindi è difficile distinguere gli effetti di dieta e peso”. La professoressa ha aggiunto anche che le persone non dovrebbero preoccuparsi di mangiare qua e là un po’ di cibo elaborato, “a patto che consumino molta frutta, verdura e fibra”.

                       

                      Un’altra questione criticata è la definizione di cibi “ultra-lavorati: secondo diversi esperti, che nelle scorse settimane hanno detto la loro da ogni parte del mondo, sarebbe troppo ampia e approssimativa, tale da rendere impossibile il capire esattamente quali nessi causali siano stati osservati nello studio Secondo il professor Tom Sanders del King’s College di Londra “Questa classificazione sembra arbitraria e basata sulla premessa che il cibo prodotto industrialmente ha una composizione nutrizionale e chimica diversa da quella prodotta in casa o dagli artigiani. Questo non è il caso. Persino il commento che accompagna il British Medical Journal ha messo in guardia dal saltare alle conclusioni. Insomma, lo studio della Sorbona va preso come un avvertimento e come un invito ad avere una dieta più sana, ricca di frutta e verdura in primis.

                       

                      Sui risultati della ricerca francese ha detto la sua anche Giuseppe Caprotti, figlio del patron di Esselunga e consulente in ambito food e retail. “In Europa più si va verso Nord più si mangiano cibi conservati”, esordisce sul suo blog l’imprenditore milanese, che oggi è anche consigliere nazionale dell’Airc, l’Associazione Nazionale per la Ricerca sul Cancro. E aggiunge: “Che le patatine e gli snack salati non facciano bene è comunque assodato. E anche i surgelati, se non sono citati, sicuramente devono essere considerati ‘ultra trasformati’ (e conservati)”.

                       

                      Caprotti prosegue poi facendo notare che “alcuni dei 400 additivi, permessi dalla UE  e presenti in questo tipo di prodotti, sono classificati come ‘possibilmente cancerogeni’. Come, per fare un esempio, un erbicida” (il glifosato, ndr). “Questo è un invito diretto a mangiare prodotti freschi, possibilmente biologici, visto che ormai si sa che il cibo convenzionale, trattato con i pesticidi, ne contiene dei residui”, continua l’imprenditore milanese, precisando comunque che ciò “non significa che tutto il cibo bio sia sano”. È un invito, in poche parole, a non mangiare troppo cibo confezionato e a non mangiare troppo in generale, per limitare problemi di sovrappeso e obesità.

                       

                      In conclusione, Caprotti lancia anche una “frecciatina” al settore del bio: “Di fronte agli obiettivi annunciati dalla distribuzione nel biologico (ad esempio Carrefour ha recentemente detto di puntare a un fatturato di 5 miliardi di euro in Francia) – chiosa – gli agricoltori del settore si sono preoccupati… Mi sembra quindi giusto ricordare che: uno, nessuno si può permettere uno scandalo. Due, in Esselunga non ci fidavamo degli enti certificatori e facevamo i nostri controlli. Ricevevo, settimanalmente, report sui prodotti fuori norma”.

                       

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