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                      Dopo il Covid-19, i dark store potranno davvero essere il futuro del retail?

                      I dark store non sono una novità nel panorama del retail. Questi normali punti vendita trasformati in magazzini per far fronte all’e-commerce, già testati da Walmart o da Esselunga nel 2001, vedono però un’applicazione più consistente con la pandemia in atto e con le regole di distanziamento sociale ed ingressi contingentati, che hanno dato una forte spinta all’e-commerce. Per far fronte all’impennata di richieste di spesa a domicilio, Whole Foods ha di recente convertito in dark store alcuni negozi di Los Angeles e New York, e lo stesso hanno fatto – temporaneamente – Kroger e Giant Eagle. Bisogna stare però attenti a non vedere i dark store come una facile soluzione. Bisogna arrivarci molto preparati perché se da un lato aiutano nell’evadere tutte le richieste e non affaticano il normale negozio, dall’altro richiedono di rivedere l’organizzazione logistica, oltre a nuove infrastrutture e ad investimenti nell’automazione per semplificare i processi ed evadere così numeri maggiori a costi inferiori

                      Dalla Redazione

                      dark shop

                      Con l’arrivo del Covid e delle misure di sicurezza adottate, è cambiato quasi tutto ciò che riguarda la vendita al dettaglio: distanziamento sociale e ingressi contingentati rendono difficile la normale fruizione del supermercato, o del negozio, come invece avveniva fino a qualche mese fa. Una soluzione, non nuova ma che sta prendendo sempre più piede proprio a causa del Covid-19, la si può trovare nei dark store. Questi “negozi a porte chiuse” altro non sono che tradizionali negozi al dettaglio che vengono convertiti in centri logistici locali, totalmente o parzialmente chiusi al pubblico, ma aperti agli addetti alle consegne a domicilio della spesa o del click&collect. Ad esempio, di recente Whole Foods ha convertito alcuni negozi di Los Angeles e New York in dark store per far fronte alle consegne. Altre catene di alimentari come Kroger e Giant Eagle hanno temporaneamente convertito alcuni punti vendita in dark store, con la prospettiva di poter trasformare questa decisione in permanente.

                      I dark store sembrano essere più comuni nelle catene di alimentari, anche perché sono quelle che più di altri settori hanno risentito delle misure per contrastare l’avanzata del virus, ma la tendenza si può rilevare anche in altri settori. Già da qualche anno ad esempio esistono le “dark kitchen”: servizi di ristorazione chiusi al pubblico e pensati per la sola produzione di piatti per la consegna a domicilio, nati per far fronte alla domanda via via in crescita, grazie anche ai servizi di home delivery. In questo modo il normale servizio al tavolo e il carico di lavoro in cucina del ristorante tradizionale non vengono messi sotto pressione, essendo indipendenti dall’attività per il servizio a domicilio. Anche alcuni marchi di moda, tra cui la società di gioielli Kendra Scott, stanno convertendo i loro negozi in centri logistici per consentire consegne più rapide e ridurre la pressione sui principali hub logistici.

                      Come dicevamo, però, le radici dei dark store risalgono a prima della pandemia. Molte catene, tra cui Walmart, hanno testato per mesi il concetto di dark store. Già nel 2001 Esselunga, nel suo superstore di Monza, dove testò per la prima volta “Esselunga a Casa”, era già in parte un dark store in quanto parte della sua superficie commerciale era adibita a magazzino dedicato al personale che prelevava la spese ordinata dai clienti tramite e-commerce. Inoltre, già a gennaio 2020, prima del dilagare della pandemia – sottolinea Forbes –  era del 12% la percentuale di americani che avevano già provato e apprezzato la consegna a domicilio di generi alimentari: un balzo del 50% sul 2019. La maggior parte dei retailer aveva previsto una crescita annuale del 30% per l’e-grocery, che rappresenta il 6% delle vendite totali negli Stati Uniti, ma la pandemia ha rapidamente cambiato queste aspettative.

                      Ecco quindi che i dark store, collocati in zone densamente popolate per ridurre i tempi di consegna e fornire un’esperienza d’acquisto più rapida e conveniente, possono essere un valido aiuto in questo periodo che vede una rapida crescita della domanda di consegne a domicilio di prodotti alimentari, ma anche in futuro, perché anche quando il coronavirus sarà, si spera, solo un ricordo e i consumatori cercheranno di tornare a una sorta di normalità, ci si troverà comunque di fronte a una nuova normalità: gli acquirenti che hanno sperimentato la consegna a domicilio, l’e-commerce e il click&collect, probabilmente manterrano almeno alcune di queste abitudini nella loro futura vita quotidiana.

                      Così, mentre alcuni negozi potranno comunque permettersi di adottare le misure di sicurezza e procedere normalmente nelle vendite, i dark store faciliteranno tutte queste operazioni, proteggendo al contempo clienti e dipendenti. Supermercati tradizionali e dark store potranno quindi convivere anche nella stessa struttura o in strutture separate, probabilmente privilegiando estensioni minori con minor referenze. Così, in un futuro alcuni negozi potranno forse seguire l’esempio di Walmart per trasformare alcune zone dei loro negozi in dark store e permettere così ai clienti di entrare solo in una parte del negozio, e adibirne una parte alle consegne a domicilio. Per altri brand, i dark store potrebbero perfino diventare un nuovo modo per fare business. In orgni caso sarà però necessario agire con attenzione, perché soprattutto in ambito Gdo, i dark store potrebbero richiedere più infrastrutture, destabilizzando così l’attuale logistica. Bisognerà quindi fare leva su una forte automazione per semplificare i processi ed evadere numeri maggiori a costi inferiori.

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