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                      Farinetti: “Le mele trentine meglio dell’iPhone”. Export? “Con criterio”

                      “Dobbiamo esportare soltanto le nostre ‘chicche’, studiando un sistema di packaging e di conservazione al top,  in grado di valorizzare quel patrimonio di biodiversità che fa del nostro Paese un unicum nel mondo”. Questo secondo il patron di Eataly è il ruolo competitivo dell’ortofrutta italiana nel mondo. Oscar Farinetti è stato una delle star della premiére di FICO Eataly World a Bologna (leggi qui). Il grande parco tematico dedicato alle eccellenze dell’agroalimentare made in Italy apre ufficialmente al pubblico il prossimo 15 novembre. Noi lo abbiamo visitato in anteprima, nel tour dedicato alla stampa, e abbiamo colto qualche massima dallo storyteller per eccellenza del cibo italiano nel mondo

                       

                      di Carlotta Benini

                       


                      “La settimana scorsa ero a Los Angeles con il mio amico Joe Bastianich. Quel giorno, il 3 novembre, c’erano due eventi nella metropoli californiana. Il lancio all’Apple Store del nuovo iPhone X e l’apertura del nostro quinto punto vendita Eataly negli Stati Uniti. Gli americani, lo sappiamo, misurano a ‘lines’, a file, il successo di un’iniziativa. Ebbene, con le nostre mele, quelle vere, abbiamo battuto Steve Jobs”. È iniziato così l’intervento di Oscar Farinetti alla premiere nazionale di FICO Eataly World, la “Disneyworld” dell’agroalimentare – come è stata ribattezzata per quella sua connotazione di parco tematico dedicato alle ‘meraviglie’ del food e del beverage – che ha preso forma su un’area coperta di 100 mila metri quadri al CAAB di Bologna (leggi qui l’articolo dedicato).

                       

                      C’era anche la star di Masterchef, giovedì 9 novembre, in mezzo alla folta platea di giornalisti e addetti ai lavori accorsi in centinaia a scoprire in anteprima cosa si cela fra gli enormi spazi della “Fabbrica Contadina Italiana”, che apre ufficialmente al pubblico il prossimo 15 novembre, e ambisce a fare di Bologna la “capitale europea del cibo”, sottolinea il patron di Eataly. E poi, da navigato storyteller qual è, torna al giorno dell’inaugurazione del nuovo punto vendita a Los Angeles: “Abbiamo mandato i nostri ragazzi per le strade, a distribuire mele trentine, profumate, dolci, croccanti. Non morsicate”, ammicca scherzosamente, facendo riferimento al celebre logo della Apple”. È i cittadini di Los Angeles sono accorsi a decine di migliaia all’aperura del nuovo store.

                       

                      Nell’orto di FICO vengono coltivati ortaggi di stagione (copyright: Fm)

                      Questo perchè l’agroalimentare made in Italy è un unicum a livello globale, nelle parole di Farinetti. “Il nostro Paese ha la più grande biodiversità agroalimentare del mondo, dobbiamo ricominciare a pensare in grande, per fare fruttare questo patrimonio, anche all’estero”. Per questo non si dice affatto preoccupato della sfida che si presenta alle porte: portare a FICO sei milioni di persone. Questa è infatti la promessa del team che sta dietro a questa gigante operazione imprenditoriale e di marketing, che ha messo insieme pubblico e privato, alla quale hanno lavorato insieme il Comune di Bologna, promotore con la Fondazione FICO per l’Educazione alimentare e alla Sostenibilità, Prelios Sgr, che ha istituito e gestisce il Fondo Pai (Parchi agroalimentari italiani) per la sua realizzazione, e con CAAB – Centro Agroalimentare Bologna. “Sei milioni di persone sono tante? Noi ci proviamo. Non sappiamo se riusciremo nell’impresa, ma certamente ce la metteremo tutta”, chiosa il patron di Eataly.

                       

                      Oscar Farinetti, lo ‘storyteller’ del cibo italiano nel mondo, alla prémiere di FICO (copyright: Fm)

                      Se l’agroalimentare made in Italy ha un posto di primo piano sui mercati mondiali, in questo primato un piccolo posto lo occupano anche frutta e verdura. “L’ortofrutta italiana nel mondo? Ha un ruolo eccezionale. – sottolinea Oscar Farinetti nella nostra breve video intervista – Questo non vuol dire che dobbiamo esportare tutto e troppo. Il 98% dell’ortofrutta che vendiamo nei nostri punti vendita negli Stati Uniti è americana”.

                       

                      “Dobbiamo esportare soltanto le nostre ‘chicche’, studiando un sistema di packaging e di conservazione straordinario. Prendiamo ad esempio il Radicchio Trevigiano: quando arriva sul mercato, i veneti, bravissimi, valorizzano il prodotto con dei packaging esclusivi, e riescono, spostandolo via aerea, a vendere questo prodotto a un prezzo premium. Immaginate quattro arance rosse di Sicilia, confezionate in un una scatola bianca, con fori che fanno intravedere il frutto, e sul fianco un’etichetta che spiega la varietà e l’origine del prodotto, le proprietà e come consumarlo. Oppure l’asparago bianco di Bassano, il peperone di Carmagnola, la carota di Polignano a Mare… Per questi prodotti dobbiamo inventarci dei packaging straordinari ed esportare una piccola quantità di prodotto, di altissima qualità”.

                       

                      L’ingresso di FICO Eataly World celebra le mele trentine di Melinda (copyright: Fm)

                      In definitiva cos’è Fico per Oscar Farinetti, che cinque anni fa ha deciso di prendere parte con il suo impero gastronomico a questa impresa ambiziosa? Questo, persuaso dalle parole di Andrea Segrè, presidente del CAAB e della Fondazione FICO e di Alessandro Bonfiglioli, direttore del CAAB, e affidando il timone a Tiziana Primori, amministratore delegato di Fico Eataly World, che ha tenuto le fila del progetto fino al suo completamento. “È la narrazione del cibo, partendo dall’inizio, dall’origine. Ecco allora tutti gli anelli della filiera raccontati e messi in mostra nella grande Fabbrica Contadina: l’agricoltura – con gli orti e i frutteti, i campi di cereali e legumi e le piante aromatiche – l’allevamento, le fabbriche, la trasformazione e quindi la tavola. “In mezzo ci abbiamo messo il divertimento”, conclude Farinetti, tornando alla suggestione disneyana.

                       

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